Quello che è successo a Milano sui blocchi del traffico merita un attimo di riflessione, e ha ovviamente aspetti politici. Premessa indispensabile: non c’è una emergenza smog a Milano come se fosse l’emergenza rifiuti per le strade a Napoli. Concentrazioni  di micropolveri  attorno al doppio della norma europea, per giorni e giorni di fila, si verificano anche nelle altre aree urbane della Pianura Padana, in primis a Torino, dove Fassino non fa nulla in proposito.

Milano però è la capitale  della sensibilità e dell’avversione allo smog e al traffico, la città in cui l’80% dei votanti ha detto sì al pagamento del pedaggio per le auto nella cerchia filoviaria della linea 90/91, in cui il centrosinistra all’opposizione fino a pochi mesi fa rivendicava limitazioni al traffico più severe di quelle che pure attuava la Giunta Moratti.

La nuova ordinanza sui periodi d’emergenza votata dalla Giunta il 18 ottobre prevedeva dopo 14 giorni consecutivi di superamento delle soglie l’adozione di due provvedimenti  forti: chiusura del centro storico alle auto non residenti e blocco dei diesel fino agli Euro 3 per 24 ore su tutta la città. Doveva diventare operativa lunedì 28 ma due giorni prima è stata revocata dal sindaco.

Secondo le ricostruzioni dei giornalisti – non smentite –  è stata revocata per il timore che l’Atm non fosse in grado di reggere alla maggiore richiesta di trasporto pubblico e per le proteste dei commercianti. Ufficialmente è stata revocata per “condividere con la Provincia un provvedimento più esteso.  Nulla di nuovo o di imprevedibile rispetto al momento in cui – solo 40 giorni prima – l’ordinanza era stata varata.

Lunedì 28 è apparsa sul Corriere una lettera aperta del sindaco che diceva tra l’altro:

“L’analisi del ministro dell’Ambiente Corrado Clini sul protrarsi dello sforamento dei livelli di inquinamento che sta colpendo gran parte del Nord del Paese, conferma che la decisione presa per Milano è quella giusta: era necessario fare un passo indietro per poterne fare davvero uno in avanti. (…) Fermare solo Milano non sarebbe stato sufficiente (…) C’è voluto più coraggio a fermarci per 48 ore [cioè a revocare l’ordinanza di blocco del traffico in attesa di una riunione con la Provincia, ndr] di quanto ne sarebbe servito a confermare l’annunciato provvedimento di blocco del traffico. Ma sventolare bandiere e sostenere posizioni ideologiche non è nel mio stile.”

Quando l’ho letta ho pensato che Clini si fosse espresso contro i blocchi del traffico all’interno di una grande città. Da un personaggio capace di alludere alla costruzione della Torino-Lione come misura antismog (lo fa nella lettera) ce lo si potrebbe anche aspettare, ma in realtà non è così. La frase chiave del neoministro è:

“E’ necessario considerare l’estensione della limitazione del traffico nei sistemi urbani, ad esempio Milano e area metropolitana, per periodi prolungati, attraverso il rafforzamento del trasporto ferroviario locale, dei trasporti pubblici urbani a trazione elettrica, l’incentivazione di misure volontarie come il car pooling e il trasporto aziendale, il car sharing con auto elettriche.”

Né il ministro Clini né – mi risulta – altri, hanno detto che per avere limitazioni del traffico in aree più vaste occorre che le città facciano un passo indietro nei provvedimenti antismog  interni ai propri confini.

Ed è proprio quello che è successo nel tavolo provinciale milanese. Si è usciti con un blocco di 7 ore e mezzo dal lunedì al venerdì dei diesel fino agli Euro 3. L’ordinanza – revocata – a Milano diceva blocco 24 ore su 24 dei diesel euro 3, compreso il fine settimana, e blocco del centro. In alternativa era stato ipotizzato, oltre al blocco dei diesel, il fermo alternato degli altri veicoli con targhe alterne. Ma al tavolo provinciale si è arrivati con una misura molto più ridotta. Come se fosse  logico e indispensabile  fare tutti la stessa cosa negli stessi termini, marciare al passo del più lento.

In realtà, nella complessità di un’area metropolitana è logico – lo si è fatto ad esempio nell’area torinese – articolare diversamente i provvedimenti di limitazione del traffico privato: più intensi man mano che ci si avvicina al centro più servito dai mezzi pubblici, meno intensi nella periferia meno servita. Non si capisce perché, per  avere 7 ore e mezzo di fermo in tutta l’area si dovesse rinunciare ad averne 24 a Milano.

Molte altre cose ci sarebbero da dire, per esempio sulle misure proposte da Sel di nuove corsie riservate ai mezzi pubblici e alle auto piene di passeggeri durante i periodi più acuti d’emergenza. Sono tutte possibilità ancora aperte, purché non si consolidi la teoria che si può limitare il traffico solo col consenso di tutto l’hinterland e della Provincia (a guida Pdl).

Agli ambientalisti milanesi – anche a quelli che non erano entusiasti della idea del blocco del centro – non è piaciuta la revoca del blocco milanese. E  la frase che c’è voluto più coraggio a revocare che a mantenere l’impegno preso non si sa bene come intenderla, dato che non c’è stato un preciso e trasparente resoconto di come si è arrivati alla revoca.

I provvedimenti  di limitazione del traffico sono sempre faticosi da prendere, e comportano conflitti, come a Napoli, dove in queste settimane li hanno dovuti affrontare l’assessora Donati e il sindaco De Magistris per realizzare la Ztl centrale. Ma a Milano più che altrove, a non farlo si delude una parte molto importante della propria base.

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