Teheran non ha perso tempo e oggi ha fugato ogni dubbio sull’ampiezza della crisi diplomatica con Londra dopo il suo sì alle sanzioni per il controverso programma nucleare iraniano: l’ambasciatore britannico a Teheran non è più persona gradita e dovrà lasciare la Repubblica islamica entro 15 giorni.

Il Consiglio dei Guardiani, infatti, ha ratificato oggi (all’unanimità) il disegno di legge già passato ieri con un’ampia maggioranza in Parlamento, in base al quale si stabilisce un netto declassamento delle relazioni diplomatiche con Londra. Giusto il tempo tecnico per mettere in pratica il provvedimento, dunque, e poi a rappresentare la Gran Bretagna a Teheran rimarrà solo la figura diplomatica dell’incaricato d’affari.

Una risposta netta del governo di Mahmoud Ahmadinejad dopo il via libera della settimana scorsa di Gran Bretagna, Stati uniti e Canada, a una serie di sanzioni contro il Paese asiatico che di fatto impediscono agli istituti finanziari britannici di avviare affari con banche iraniane, compresa la Banca Centrale iraniana.

Provvedimenti pesanti quelli voluti da Londra, che Teheran punta però a sminuire. “È improbabile che i mercati internazionali del petrolio ignorino l’Iran, perché questo creerebbe problemi a loro stessi”, ha commentato il ministro del Petrolio iraniano Rostam Qasemi riferendosi anche alle sanzioni europee ancora al vaglio dell’Unione. E che dovrebbero riguardare pure le forniture del greggio. In ogni caso, avvisa Qasemi, “L’Iran è al secondo posto nell’Opec per produzione e qualità del greggio” e dunque “sembra che ci siano altri acquirenti pronti ad acquistarlo”.

Il contraccolpo, nonostante le dichiarazioni ufficiali, in realtà ci sarebbe. Ma Teheran, non a caso, continua a rimarcare che la maggior parte delle vendite del petrolio nazionale sono già dirette verso Oriente, e che quelle destinate all’Europa sono “solo una piccola quantità”. Fatto sta che in Europa il fronte della linea dura sul dossier iraniano non è comune. Secondo l’Ansa, infatti, molti imprenditori italiani in Iran, insieme ad alcuni ambienti diplomatici europei, considererebbero le sanzioni di Bruxelles contro Teheran inutili e dannose. Da una parte non servirebbero a dissuadere la Repubblica islamica da un piano nucleare che Teheran continua a definire orientato a scopi civili e sul quale tra l’altro restano molte zone d’ombra ammesse dalla stessa Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica nel suo ultimo report (dove mancano riferimenti precisi alle tempistiche e alle capacità concrete iraniane di realizzare ordigni nucleari). Dall’altra potrebbero minare la presenza commerciale di aziende italiane ed europee in Iran, aprendo il mercato del secondo Paese per riserve di idrocarburi al mondo agli appetiti crescenti di Turchia e Cina.

Intanto, mentre il ministero degli Esteri britannico ha definito “incresciosa” la chiusura diplomatica iraniana e avvisato che in caso di espulsione dell’ambasciatore risponderà “in maniera robusta in consultazione con i nostri partner internazionali”, per quanto riguarda l’ipotesi di un intervento militare contro le istallazioni nucleari, Teheran non resta a guardare. E si dice pronta a reagire con 150mila missili da lanciare in caso di aggressione israeliana contro Tel Aviv, rispondendo così al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che nelle scorse settimana aveva definito sempre più “plausibile” un’opzione militare contro Teheran.

Non solo: nell’ambito del consueto balletto di dichiarazioni minacciose, il ministro della Difesa iraniano Ahmed Vahidi ha puntato oggi il dito contro Washington. “La Repubblica Islamica non è come l’Iraq o l’Afghanistan – ha avvertito Vahidi – Nel caso gli Usa inavvertitamente attaccassero l’Iran sarebbero sorpresi dalla nostra risposta militare”.

di Tiziana Guerrisi

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