Rigore, crescita ed equità non possono fare a meno della rete. Il nuovo governo pare esserne consapevole. “Occorre infine operare per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea con l’agenda digitale.” Con questa frase, pronunciata da Mario Monti nel suo discorso al Senato del 17 novembre, il digitale entra per la prima volta ufficialmente come impegno nel discorso d’investitura di un governo italiano.

Solo un primo passo, ma già un risultato storico che risponde a una vasta mobilitazione culminata, solo un paio di settimane fa, nella lettera inviata dall’Internet Governance Forum Italia (IGF Italia) al Senatore Mario Monti affinché il nuovo governo affronti lo “spread digitale” che rallenta lo sviluppo del Paese.

Risultato tutt’altro che scontato. Quando all’inizio di quest’anno, assieme a un centinaio di professionisti della rete, lanciammo un appello alla politica perché si impegnasse alla realizzazione di un’agenda digitale, furono pochi i politici a raccogliere l’invito. Eppure si tratta di impegno sancito dall’Europa, come ebbe a ricordarci Neelie Kroes, Vicepresidente della Commissione Europea con delega sull’agenda digitale europea, che proprio in quell’occasione diede con un messaggio su Twitter il proprio sostengo pubblico all’iniziativa.

Da allora è cresciuta la consapevolezza politica su questi temi. Ma non basta. Servono azioni concrete. Proprio in queste ore, in cui si fa più serrato il gioco di potere nel palazzo per la nomina di viceministri e sottosegretari, è essenziale che i ministri con le maggiori competenze in materia, a partire dal ministro Passera, che occupa il dicastero dello Sviluppo Economico, e dal ministro Profumo, titolare del Miur, ci dicano con chiarezza cosa intendono fare per dotare finalmente questo Paese di un’agenda digitale.

Non è questione di soldi. Le prime risorse per la banda larga si possono trovare impiegando in maniera efficiente i fondi della Cassa Depositi e Prestiti, i proventi delle aste delle frequenze, ma soprattutto le tante risorse comunitarie inutilizzate a livello regionale. Non è questione di poltrone, tanto più che il digitale incrocia trasversalmente le competenze di quasi tutti i ministeri. Non è neppure questione di reintrodurre politiche assistenziali. L’economia digitale ha più bisogno di deregolamentazione e di leggi che separino in maniera chiara le politiche di sostegno dalle azioni del mercato. Molto si può fare anche a costo zero.

In questi anni di latitanza della politica su un tema così vitale per lo sviluppo del Paese, tante organizzazioni, dall’Igf Italia agli Stati Generali dell’Innovazione, da Confindustria Digitale al Digital Advisory Group, hanno lavorato individuando misure e azioni concrete per l’implementazione dell’agenda digitale nazionale. È tempo per il governo di raccogliere queste proposte e presentare un pacchetto per l’emergenza digitale.

Nessuno sa quanto durerà l’esecutivo Monti. Al di là del giudizio politico, tuttavia, una cosa è chiara: non si è mai visto in passato un governo dotato di personalità con competenze e sensibilità così qualificate sui temi del digitale. E c’è da giurarci: difficilmente ne vedremo di migliori in futuro. Anche se il governo dovesse durare fino al termine della legislatura, il tempo dell’azione sarà molto limitato. È importante pertanto che tutte le organizzazioni, che hanno a cuore l’innovazione digitale, si impegnino, da subito, non con chiacchiere, ma con proposte concrete. Sarà poi compito del governo assumersi le responsabilità delle scelte.

Già nel corso degli Stati Generali dell’Innovazione, che si sono tenuti la scorsa settimana, è stata presentata una prima lista di 8 azioni da sottoporre al governo. Ora lo facciano anche tutti gli altri. Il 2012 potrebbe essere un anno di svolta per l’Italia digitale. Non lasciamoci scappare questa opportunità. Spetta a tutti coglierla.

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