Piazza Tahir, il centro della protesta in Egitto

Nella strada che al Cairo porta al ministero dell’Interno ci sono filo spinato e blocchi di cemento a dividere esercito e manifestanti, e a siglare la tregua arrivata nel cuore della notte scorsa dopo le violenze che da sabato scorso hanno causato, secondo il ministero della Salute egiziano, 38 morti e 817 feriti in tutto il Paese. Questo non significa, però, che i manifestanti siano pronti a cedere il passo. Affatto. A nulla sembrano essere servite le scuse arrivate oggi dall’esercito per le vittime civili degli ultimi giorni: la gestione militare della transizione, sostengono i manifestanti, è fallita tra repressione e crisi economica.

La tensione resta altissima e la situazione a dir poco precaria. Al punto che, quando un gruppo di manifestanti si arrampica nel pomeriggio sulla barriera facendo temere nuovi scontri, un gruppo di medici in camice bianco giunto dagli ospedali da campo allestiti in piazza Tahrir decide di mettersi in mezzo, a fare da scudo umano tra giovani e militari. Il popolo di piazza Tahrir, in ogni caso, ha già annunciato una grande manifestazione per domani, l’ultimo venerdì prima dell’inizio delle elezioni parlamentari, confermate per lunedì prossimo dopo che erano circolate diverse voci su un possibile rinvio. “Siamo pronti a tenere le elezioni, in qualsiasi situazione ci dovessimo trovare” ha fatto sapere il presidente della Commissione elettorale egiziana, Abdel Muazz Ibrahim, nel corso di una conferenza stampa al Cairo alla quale hanno partecipato anche alcuni ufficiali del Consiglio Supremo delle Forze armate.

E proprio la giunta militare, al centro di feroci accuse secondo le quali negli ultimi giorni i militari avrebbero fatto ricorso a gas nervini contro i manifestanti, in una conferenza stampa di due ore ha tentato di calmare gli animi. Senza aprire però sostanzialmente alla piazza, che chiede un passo indietro. Prima su Facebook il Consiglio supremo delle Forze armate ha chiesto “scusa per i martiri del popolo egiziano negli scontri recenti” esprimendo “condoglianze alle famiglie dei martiri nel Paese”. Poi, nella conferenza stampa trasmessa in diretta tv, il generale Capo di Stato maggiore Mukhtar al-Mulla ha detto che “la cosa più importante è mettere fine alle violenze contro i manifestanti nel Paese”. Al-Mulla ha anche sostenuto di non aver mai usato armi contro i civili prima di ammettere, incalzato dalle domande dei giornalisti, che ci sono state “molte violazioni” e che “le manifestazioni pacifiche sono un diritto di tutti se restano nel quadro della legalità”.

Quanto alla richiesta della piazza che il Consiglio si faccia da parte, nessuna apertura. Al-Mulla ha detto di non voler rimanere al potere “più di quanto lo chiedano le circostanze”, ma di dover “portare a termine il nostro compito per la transizione del potere ai civili eletti”. Ovvero: lasciare il potere ora vorrebbe dire “tradire il mandato ricevuto dal popolo”. Immediata la reazione a piazza Tahrir, dove i 65 movimenti presenti hanno rimandato al mittente scuse considerate inaccettabili. “Nessuna scusa e nessuna condoglianza” si legge in un comunicato. Perché la giunta militare, secondo i manifestanti, ha fallito. L’Egitto, proseguono gli attivisti, ha assistito a un peggioramento della propria condizione economica oltre alle continue violazioni delle forze di sicurezza contro i manifestanti. Motivo per il quale molti chiedono con insistenza di consegnare alla giustizia chi è coinvolto nell’uccisione di civili e di creare un governo di salvezza nazionale al più presto.

Intanto, alle elezioni legislative di lunedì si presenteranno 55 partiti, per lo più raccolti in tre grandi coalizioni: il “Blocco egiziano” che vede insieme alcuni partiti tradizionali di sinistra e liberali, il “Consiglio Rivoluzionario” dell’organizzazione dei giovani del 25 gennaio e “Libertà e Giustizia“, in cui sono raggruppati i partiti collegati al movimento dei Fratelli Musulmani. E proprio i Fratelli musulmani, che hanno condannato oggi le aggressioni contro i manifestanti, hanno però già fatto sapere che non parteciperanno alla manifestazione di domani. Per evitare, hanno spiegato, che una loro adesione possa far salire ulteriormente la tensione nel Paese.

di Tiziana Guerrisi

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