È tregua tra i Lumbard. Almeno a parole, almeno davanti alle telecamere, va ufficialmente in scena la Lega senza divisioni e senza spaccature. Una Lega che inneggia alla secessione, che schernisce gli avversari e si incensa ricordando i bei tempi andati. Nella sala convegni dell’istituto De Filippi di Varese lunedì sera si sono seduti allo stesso tavolo Marco Reguzzoni e Roberto Maroni, che sono arrivati addirittura a stringersi la mano. I due, indicati a torto o a ragione come i capostipite di due fazioni contrapposte del Carroccio, assieme a Giancarlo Giorgetti, hanno spiegato a settecento militanti le ragioni della Lega di opposizione.

Eppure le premesse per una serata calda c’erano tutte. Il neosegretario provinciale Maurilio Canton (reguzzoniano) ha organizzato l’evento dimenticandosi di invitare l’ex ministro dell’Interno. A testimoniarlo anche le locandine, su cui sono stati stampati solo i nomi del capogruppo alla Camera (Reguzzoni) e del presidente della commissione Bilancio (Giorgetti). Una dimenticanza non da poco, dato che Varese è la città di Maroni. Un affronto che, metaforicamente parlando, i militanti maroniani erano pronti a lavare con il sangue, tanto che nel giorni precedenti tra i colonnelli di Maroni era circolata una e-mail che invitava tutti a prendersi una boccata d’aria durante l’intervento del Capogruppo.

Anche se sottotraccia continuano ad esserci le solite divisioni, le solite gole profonde pronte a tradire questo o quel padrino, in pubblico è scoppiato l’amore. Alla fine Maroni è arrivato, accolto da una vera e propria ovazione e al grido di “Bobo! Bobo! Bobo!”, è salito al tavolo dei relatori dove ha tenuto l’intervento conclusivo, il più lungo e articolato. Marco Reguzzoni è stato accolto più tiepidamente, ma ha comunque arringato la folla, regalando qualche perla di rara saggezza leghista. E la forma è stata preservata.

Nel suo intervento Reguzzoni ha attaccato i traditori che hanno fatto cadere il governo: “Sono 47, di questi ben 40 sono stati eletti da Roma in giù”. I conti li ha lo stesso Capogruppo, che ha commentato: “Questi sono numeri, sono dati che devono far riflettere da soli” e poi se l’è presa con quello che ha definito “il più importante di tutti”, quello che appare sui giornali, quello “più cattivo” nei confronti della Lega, che “si chiama Italo di nome, il cognome non lo dico perché sembra di prenderlo troppo in giro, insomma, perché uno che c’ha un cognome così potrebbe fare altro. È stato eletto in Campania, è un napoletano”.

Poi è stata la volta di Maroni, che ha tenuto un intervento lungo, intrecciando l’attualità con i ricordi. E in sala si sono sentiti gli echi della Lega di lotta, quella dei primi anni ’90, quella emarginata da tutti e bistrattata dall’opinione pubblica: “Ho un po’ paura, ma sono anche contento” ha detto Maroni, spiegando che la vera ragione per cui è nato il governo Monti non è il tentativo e la volontà di superare la crisi economica, ma di marginalizzare la Lega e il suo progetto federalista. “Vogliono metterci in un angolo – ha detto l’ex ministro – ma noi sapremo parlare con la gente e ricordare loro il nostro progetto e le nostre ragioni”. Maroni, acclamato a furor di popolo, ha ricordato la lungimiranza dimostrata in passato dalla Lega e dal suo leader Umberto Bossi: “Non dobbiamo mai dimenticare chi siamo, dobbiamo tornare a vestire l’orgoglio dei primi tempi, dei leghisti veri, duri e puri, contro tutto il sistema. La Lega è all’opposizione e non può fare inciuci con nessuno”. Ancora applausi, prima della chiusura a suon di  Va’ Pensiero.

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