Quasi tutto il mondo si è accorto della campagna globale della guerra contro l’Iran. Uno scenario di una guerra nucleare pareva come l’unica soluzione per affrontare il così detto “Iran diabolico e il suo male”.

E’ interessante osservare come le notizie che hanno invaso tutte le agenzie dei media disegnavano lo scenario di guerra come una necessità inevitabile. Il giornale londinese Daily Mail ha riportato nella sua edizione di giovedì dieci novembre che i ministri del governo inglese sono stati informati di attendersi un attacco militare israeliano subito dopo il rapporto dell’Onu previsto nei giorni precedenti il Natale o all’inizio del nuovo anno e che l’azione militare contro i siti nucleari iraniani è “più vicina che lontana”. Tutto questo con il sostegno logistico degli Stati Uniti che ovviamente sono preoccupati maggiormente del nucleare iraniano dato che potrebbe far venire, in successione, il desiderio di avere il proprio arsenale nucleare all’Arabia Saudita e alla Turchia.

Sembra che i vari rapporti militari mirino a offrire una preparazione psicologica per uno scenario di guerra molto crudele. Queste informazioni assicurano che l’aereonautica israeliana continua a condurre intense esercitazioni, di cui l’ultima è avvenuta in Italia alla base Nato di Decimomannu, in Sardegna. Durante questi ultimi due anni gli israeliani hanno usato questa base come principale centro di esercitazioni a causa della chiusura del cielo turco dopo le tensioni fra Turchia e Israele. Secondo questi rapporti gli aerei israeliani hanno partecipato insieme agli aerei italiani e ai tornado F16 tedeschi.

Vale la pena di osservare che la comparsa della Germania nello scenario di guerra potrebbe essere materia di analisi, data la curiosità che provocherebbe il desiderio tedesco di apparire pubblicamente come protagonista, contraddicendo il suo solito ruolo latente in Medioriente.

Pensando ad alcune teorie di psicologia dei media, la diffusione di notizie riguardanti scenari di guerra tragici, tipo una guerra nucleare che avrebbe delle conseguenze catastrofiche, preparerebbe l’opinione pubblica ad aspettarsi il peggio.

Oppure queste tattiche potrebbero mirare invece a ottenere il consenso per un altro tipo di guerra su un fronte completamente diverso. Seguendo questa logica, la minaccia di una guerra nucleare potrebbe facilitare l’accettazione di una guerra tradizionale, dove il caso dell’Iran potrebbe essere minimizzato a una guerra in Siria senza molte polemiche: questo vorrebbe dire che non siamo tanto lontani da un intervento militare in Siria.

La realtà preoccupante sarebbe la forma nuova della vecchia guerra fredda. La Russia sembra ben decisa a rifiutare qualsiasi scenario di guerra contro la Siria. Il capo degli Hizbuallah ha mandato un messaggio chiaro della loro predisposizione ad andare in guerra minacciando che il conflitto non escluderebbe nessuno nella regione. Riguardo alla posizione iraniana, è già molto chiara la solida alleanza fra Iran e Siria.

Strategicamente parlando, per lanciare un attacco militare contro un paese come la Siria si dovrebbero garantire almeno due linee di frontiera per condurre operazioni militari. Nel caso siriano, due linee su quattro sono totalmente escluse considerando il rifiuto iracheno e libanese in questa guerra. L’unica linea possibile della guerra sarebbe quella turca e giordana. Se la Turchia facesse entrare le truppe dai propri confini potrebbe rischiare di aprire più di un fronte non solo con la Siria, ma anche con la realtà curda. La Siria potrebbe essere appoggiata non solo dai russi, ma anche dai cinesi.

La Turchia dovrebbe ponderare molto prima di accettare un tale rischio. A questo punto la domanda che si pone è: sono pronti i turchi a un’avventura del genere?.

Nel caso della Giordania quale è la sua posizione? La scelta di entrare in guerra sarebbe  dei giordani o verrebbe imposta da altre forze? Ci sono delle conseguenze gravi che una tale posizione avrebbe sulla sicurezza nazionale giordana. La Giordania è pronta per affrontare una sfida del genere?

Da come sono state manipolate e riciclate le parole del re giordano nell’ultima intervista della Bbc, trasformando l’esempio che ha fatto su se stesso in una richiesta del presidente siriano di lasciare il suo posto, mostra chiaro che far entrare la Giordania in guerra contro la Siria fa parte dell’interesse di vari paesi e nello stesso tempo serve al progetto di trasformare il territorio in una zona islamizzata alla “maniera americana”.

In questo momento è difficile prevedere come si evolverà la situazione e non ci rimane che da riconoscere che la guerra in Siria non è sicuramente una guerra in Libia. Il crollo della Siria avrebbe delle conseguenze non limitate soltanto allo scenario siriano, ma anche a quello regionale e internazionale.

Articolo Precedente

Egitto, sale a 20 il numero delle vittime degli scontri di piazza Tahrir

next
Articolo Successivo

Dale Farm, attenti al nomade. Anche irlandese

next