L’inchiesta sulle vicende del San Raffaele giunge a un punto di svolta. Questa mattina sono stati perquisiti una ventina di uffici e la residenza adiacente alla struttura ospedaliera dove vive Don Verzè. Il fondatore del colosso ospedaliero è indagato assieme ad altre quattro persone nell’ambito dell’inchiesta milanese sulla bancarotta per un miliardo e mezzo che coinvolge i vertici della struttura. Le toghe puntano a fare luce anche sull’esistenza di presunti fondi neri. Secondo quanto emerge dal decreto di perquisizione, oltre al prete-manager, sono stati iscritti nel registro degli indagati, Pierangelo Daccò, faccendiere considerato l’anello di congiunzione fra l’ospedale e i vertici della Regione Lombardia; Mario Valsecchi, direttore amministrativo della Fondazione San Raffaele; Gianluca Zammarchi e Andrea Bezzicheri, esponenti dell’azienda di costruzioni Metodo Srl.

Gli uomini della Guardia di Finanza sono al lavoro per acquisire materiale e documenti utili alle indagini che, nelle ultime ore, hanno fatto scattare le manette per Piero Daccò, l’intermediario per consulenze e rapporti d’affari dell’ospedale, accreditato come molto vicino a Comunione e Liberazione e al governatore lombardo Roberto Formigoni. Il suo fermo è stato trasformato nella notte in arresto per pericolo di fuga. Anche lui, come don Verzè e gli altri è indagato di concorso in bancarotta e deve rispondere della sottrazione di tre milioni e mezzo di euro. Gli investigatori stanno cercando di ricostruire i movimenti che hanno portato alla voragine finanziaria di oltre un miliardo e mezzo, a partire dai movimenti di denaro ritenuti sospetti. Tre in particolare: l’acquisto di un aereo, di un immobile in Cile e una serie di spese per gestire contenziosi legali all’estero. Operazioni ritenute dai pm volte a dissipare il patrimonio della fondazione e a costruire fondi neri. Con un meccanismo noto: la Fondazione San Raffaele paga (molto) più del dovuto i suoi fornitori che in un secondo momento restituiscono parte della somma in contanti. Così la Fondazione si sarebbe procurata enormi somme di denaro nero che l’ex braccio destro di don Verzè Mario Cal (il vicepresidente che il 18 luglio, durante i giorni della bufera giudiziaria, si è suicidato) avrebbe consegnato a Daccò. Per destinazioni che non vengono citate nel provvedimento di fermo. I rapporti con l’ospedale, oltre che la galassia delle altre attività di Daccò, emergono dall’agenda del manager suicida Cal. Pagine che sembrano dimostrare come l’uomo fosse “l’ufficiale di collegamento” con le istituzioni della holding del gruppo ospedaliero, nonostante non abbia mai ricoperto nessun incarico formale.

Tra gli indagati, sempre per il meccanismo delle restituzioni in nero al San Raffaele, figura anche il costruttore Giovanni Luca Zammarchi che ha avuto lavori in appalto dalla struttura sanitaria per decine di milioni di euro. L’uomo ieri è stato interrogato assieme al figlio Pierino dai titolari delle indagini.

Così, dopo circa sette mesi da quel 23 marzo, quando venne dichiarata la crisi finanziaria dell’istituto, le indagini sembrano arrivare a un punto di svolta dopo la decisione del Tribunale di Milano che il 28 ottobre, al posto del fallimento del colosso finanziario, ha optato per il concordato preventivo accettando (seppure con molti distinguo) il piano di risanamento presentato dallo Ior (la banca del Vaticano) e dall’imprenditore genovese Vittorio Malacalza.

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