Mi sarebbe piaciuto scrivere un bell’arti­colo di politica, sul governo di pri­ma e su quello che verrà. Ma non posso farlo per­ché non sono più autorizzato. Sono infatti un cittadino, o meglio un consumat­ore, ita­liano ed è stato appena deciso che di faccende del genere non debbono occuparsi più i cittadini (troppo ignoranti ed emotivi per occuparsene) ma degli esperti bravissi­mi, molto molto più bravi di me e di voi. Saranno loro a decidere per tutti.

Questo è già successo diverse volte nella storia. In Grecia, quando è finita la polis, a Roma, quando è arrivato Cesare, nel me­dioevo in Italia, quando dopo i Comuni sono arrivate le Signorie. Non è che la gen­te fosse contraria, in questi casi. Troppa chiacchiera, troppi disordini, troppo poca abitudine – poco a poco – a uscir di casa. Meglio un governo tranquillo, un sovrano benevolo, che pensa per tutti.

Sta succedendo in Italia, e non so se è bene o male. Certo, dopo tutto quel Berlu­sconi qualcosa bisognava fare. E chi dice che gli abitanti italiani, dopo aver creato un Berlusconi, non ne creino prima o poi qualche altro? Europa e Ger­mania non si sono fidate. E noi, lavoran­do poco (preca­rio non è lavorare) dipen­diamo da loro.

Può darsi che vada bene così. Certo, non è democrazia. Ma chi la vuole davvero? I veneti? I commercialisti? I banchieri? I boss mafiosi? I calabresi, Catania? Gli im­prenditori del Ponte, quelli dell’Ex­po, la Borsa? Nessuno di questi soggetti, che or­mai sono il baricentro della Nazione, ha mai avuto molto a che fare con la democra­zia. Ovvio che si sia sfaldata così, nell’in­differenza generale, senza problemi.

E nemmeno l’Europa, così com’è, ha mol­to a che fare con la democrazia. E’ sorta at­torno all’euro, e come primo passo anda­va bene. Ma è stato pure l’ultimo, purtrop­po. L’Europa, la nostra Europa, si suicidò traumaticamente nel ’14, cent’anni fa. Stavolta si sta suicidando piano, per avarizia e noia. Senza popolo, senza stato, con tante banche ma neanche una su mae­stra di scuo­la o un giardiniere.

La crisi, come tutte le crisi, si può risol­vere. Ma c’è bisogno della politica per farlo, per fare le svolte drastiche (in termini di sistema) che ogni crisi richiede. Ma qui di politica non ce n’è più. Non c’è una politica di destra contrapposta a una di sinistra, o più moderata. C’è semplicemente il rifiuto della politica, la sua abolizione in quanto pericolosa per le idee che, en passant, po­trebbe mettere in testa ai consumatori. Niente referendum in Grecia, niente elezioni qui da noi.

Le elezioni, in Italia, sarebbero state vin­te con largo margine non dal “centrosini­stra” ma (di fatto) da una vera e propria si­nistra, ancorché moderata, quella di Bersa­ni e soci. Avrebbe un tale governo trovato il corag­gio di resistere ai precari, di imporre ai sa­crificati altri sacrifici, di lasciar mano libera per altri diciassette anni agli impren­ditori? Nel dubbio, meglio non correre il ri­schio e non far votare.

E noi? In che cosa si traduce, qui e ora, il “pensa globalmente, agisci localmente”? Abbiamo due esempi interessanti, qua a Catania. Il primo, quello della mobilitazio­ne della società civile sul tema importantis­simo, e prettamente istituzionale, di una credibile Procura; e abbiamo vinto.

Il se­condo, quello della campagna – sem­pre delle associazioni della società civile – per l’istituzione dei referendum comunali; e an­che qui abbiamo vinto. In entrambi i casi, senza spaccare vetrine, senza alzare la voce, con una larga componente “modera­ta” (specie nel secondo caso) ma con una carica alternativa e democratica assoluta­mente evidenti. E – lo ri­petiamo per la terza volta – vincenti. E’ un modello. E’ il nostro modello politico, non di parti­to o ideologico ma civile. E’ quello cui noi ci affidiamo perché sia salvato – ma vera­mente – il Paese.

Esso ha una ricaduta giornalistica, di giornalismo rigorosissimo ma impegnato. Anche qui il caso Catania fa testo: da una parte polemica serrata ma civile, senza urlare; dall’altra mobilitazione dei media di destra, e anche di sedicente “sinistra” , senza remore né di verità né di stile: qual­cuno è arrivato a nascondere ai lettori l’esi­stenza stessa della sconfitta di Gennaro, abolendone semplicemente il nome. E han­no vinto i civili.

Andiamo avanti così, con le forze di base, senza aspettarci regali (qualcuno a Catania si è lamentato che il grande Santo­ro qui si sia appoggiato, per la sua tv, al lo­sco Ciancio…) perché chi può fare regali di solito ha anche i suoi interessi. Con calma, con convinzione, senza mai entusiasmarci ma senza mai rallentare. Il lavoro ben fatto alla fine vince. Specie quando ha alle spalle un nome come i Siciliani.

Sarebbe bello pensare che – nel 2014, per esempio: cent’anni dopo – i popoli potreb­bero risvegliarsi, abbattere il muro di Bru­xelles come già quello di Berlino. Un’Euro­pa democratica! Un’Ita­lia europea! Una Si­cilia italiana! Una Cata­nia senza cavalieri! Ci pensate? Sembra impossibile, certo. Ma anche l’Urss di Breznev pareva eterna. La no­stra nomenklatura farà la stessa fine entro pochi anni.

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