“Occorre trovare un accordo che porti a una soluzione del conflitto politico, che ponga le basi democratiche. Questo è il primo obiettivo del processo: il riconoscimento di Euskal Herria e del suo diritto di decidere”. E’ con questo approccio che l’organizzazione basca Eta prende la parola, ad oltre venti giorni dall’annuncio della fine della lotta armata.

In una lunga intervista a due membri della banda, pubblicata dal quotidiano radicale Gara, Eta dimostra di appoggiare in piena campagna elettorale per la consultazione del prossimo 20 novembre, il processo di pacificazione spinto dalla sinistra abertzale.

Viene esplicitata la volontà di aprire un negoziato legato da tre temi principali: “Il ritorno nei Paesi Baschi di tutti i carcerati e gli esiliati politici baschi – si legge nell’intervista – la consegna delle armi di ETA e la smilitarizzazione della regione”. Inoltre, per rafforzare ulteriormente i passi portati avanti dai partiti di sinistra si sottolinea che “Eta non costituirà in nessun modo una minaccia per il processo in corso”. L’apertura di un tavolo negoziale passa attraverso il “disarmo già previsto in agenda” e dalla disponibilità dell’organizzazione ad “adottare dei compromessi”.

Al tempo stesso l’obiettivo indipendentista resta centrale ma con mezzi democratici: “In questa nuova fase – precisano i due membri di Eta – la sinistra abertzale si deve preparare a percorrere la strada fino alla fine. (…) Dobbiamo creare i meccanismi che ci consentano di diventare uno Stato; uno Stato che sia al servizio della popolazione e che garantisca la giustizia sociale”.

Eta però sostiene che l’annuncio della fine della lotta armata non sia frutto di una sconfitta: “Attribuirci una sconfitta fa parte della strategia degli Stati di provocare scoraggiamento nella sinistra abertzale e di neutralizzare le opzioni che questa scelta apre in questo momento politico. (…) . Gli Stati stavano preparando una trappola per bloccare la sinistra indipendentista. Siamo riusciti ad evitarla e a elevare il confronto su un nuovo scenario”.

Ma il cammino verso un processo di pace rimane tortuoso. Lo ha denunciato anche l’ex leader di Batasuna, Arnaldo Otegi che in una lettera aperta dal carcere di Logroño, pochi giorni fa ha avvertito che “la pace non è ancora arrivata perché lo stato spagnolo e francese continuano a negare il diritto dei Paesi Baschi di scegliere di essere una nazione”. Le divisioni e le posizioni nei Paesi Baschi rimangono distanti su molti punti.

Una nuova conferma è arrivata il 10 novembre, giorno della Memoria delle vittime del terrorismo, sia di Eta sia di Gal e di tutti coloro che sono stati colpiti dagli abusi della polizia. Al Parlamento autonomo basco mentre il presidente del PP, Arantza Quiroga ha posato una corona di fiori in ricordo di tutti i caduti per il terrorismo, i partiti nazionalisti avevano preparato un omaggio in cui venivano escluse le vittime della violenza della polizia. Il presidente del governo basco, il socialista Patxi López ha scelto la strada più conciliante e ha reso omaggio a tutte le vittime, ma sottolineando che occorre frenare i tentativi di “riscrivere la storia cercando di giustificare la violenza di Eta”.

Altra ancora la presa di posizione di Bildu, il partito più importante della sinistra indipendentista, al potere dallo scorso giugno nella provincia autonoma basca di Gipukzoa. Il suo massimo esponente Martin Garitano, ha partecipato alla comemorazione, mantenendo però un tono critico: “Non è il giorno di tutte le vittime perché non è stato ricordato Mikel Arregi, ucciso dalla Guardia Civil durante un controllo a Lakuntza (Navarra) l’11 novembre del 1979”. Garitano ha garantito che la sua coalizione si impegna a riconoscere “tutte le vittime di tutte le violenze che hanno colpito il paese”.

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