È ancora tremendamente presto per avere un’idea precisa di come andrà a finire questa crisi di governo, quali saranno le risposte della politica, le conseguenti reazioni dell’economia e della finanza, i nuovi confini della democrazia e della rappresentanza, i protagonisti della prossima campagna elettorale. Anche questo post potrebbe diventare vecchio tra poche ore.

Emerge solo un dato: ha vinto Casini. Ha vinto il centrismo, ha stravinto Cirino Pomicino. Il primo e il secondo polo convergono sul terzo. Il bipolarismo, ammesso che sia mai nato, rischia di tramontare definitivamente.

Nel 2008 i due principali candidati premier muovevano la loro riflessione politica dalla comune esigenza di riconoscere uno scenario politico semplificato, all’americana, con due partiti (o perlomeno, due poli espressioni di due proposte culturali alternative). Il nome sulla tessera elettorale di Berlusconi e la vocazione maggioritaria di Veltroni erano, in fondo, la stessa cosa. Tre anni dopo e a legislatura ancora in corso, questo scenario sembra essersi dissolto fatalmente. Basta analizzare le strategie, le tattiche e le parole d’ordine di queste giornate delle forze politiche presenti in Parlamento per rendersene conto.

Pdl

È diviso in due, ma non è in una posizione così disastrosa come i giornali raccontano. È infatti il partito con più parlamentari, sia alla Camera che al Senato, e soprattutto è l’unico che non ha ancora espresso un parere definitivo sul governo Monti. I suoi dirigenti hanno dunque la golden share sul governo tecnico. La direzione che dovrà decidere non ha alcuna fretta di sciogliere la riserva e infatti ha annunciato che il primo incontro ufficiale per stabilire la posizione ufficiale del partito sarà convocato non prima di lunedì. Nel frattempo, si tratta su tutto e con tutti. Se la direzione dovesse poi convergere su Monti, Berlusconi avrà comunque la possibilità di lasciare tutti e andar via formando la tanto sognata nuova formazione politica totalmente personale, che ricalchi i fasti di Forza Italia, e così facendo sarà all’opposizione del governo Monti (lui e tutta la sua macchina mediatica), in buona compagnia della Lega, con cui potrà continuare a governare le amministrazioni del Nord, dove un Pdl senza il premier e senza alleanza con Bossi e Maroni rischia di scomparire un secondo dopo. Non credo che l’esperienza politica di Berlusconi sia giunta al capolinea e non credo nemmeno che voglia davvero andare a votare subito, aldilà delle dichiarazioni ufficiali: se si votasse a gennaio, il centrodestra perderebbe e Berlusconi, certamente, non sarebbe ricandidabile. Con un Governo Monti che dovesse vedere Berlusconi e Bossi all’opposizione, il Cavaliere potrebbe giocarsi l’ultima partita elettorale nel 2013.

Pd

Appare compatto e si candida a vera forza di governo post-berlusconiana. Bersani è furibondo con Di Pietro per la sua scelta di mettersi all’opposizione: il segretario è sicuramente convinto che il comportamento dell’Idv sia da irresponsabili, ma allo stesso tempo è terrorizzato dall’idea di poter perdere voti da sinistra durante un anno che sarà caratterizzato da provvedimenti durissimi che colpiranno i ceti mediobassi. La posizione del Partito presenta diverse insidie elettorali future: la rottura dell’asse con l’Italia dei Valori potrebbe essere definitiva e questo comporterebbe un definitivo spostamento dell’asse del Partito verso il centro e la fine del nuovo Ulivo, sia in caso di eventuali elezioni anticipate, sia in caso di voto nel 2013. Tutte le proiezioni elettorali restituiscono una certa emorragia di voti se si presentasse questa circostanza, che potrà essere limitata (o addirittura rovesciata) solo nel caso in cui un eventuale governo tecnico dovesse rimettere in piedi l’Italia in dodici mesi: a quel punto un’alleanza Pd-Udc avrebbe più di una chance di vincere le elezioni. Allo stesso tempo questa alleanza risulterà indigesta a moltissimi dirigenti del Partito, a tutti coloro i quali ritenevano ineludibile l’asse con Vendola e Di Pietro. Potremmo così assistere alla stessa scissione che oggi vive il Pdl, ma sotto elezioni: un disastro.

Lega Nord

Incredibile ma vero: la resistenza di Bossi è stata premiata. Nessuno potrà accusare la Lega di aver fatto cadere il Governo; nessuno potrà accusare la Lega se, da domani, sparerà a zero sul governo uscente e il nuovo governo tecnico. Le posizioni delle due aree del partito, quella di Bossi e Maroni, si sono riunite improvvisamente, regalando una nuova prospettiva politica al carroccio: da partito di Governo (e del compromesso) a partito d’opposizione a forte connotazione regionalistico-amministrativa. Il sogno è ripetere l’exploit dei partiti indipendentisti del Belgio: arroccati nelle loro posizioni e capaci di bloccare il Paese. Una Lega di lotta senza un Pdl solido e con un centrosinistra alle prese con le riforme lacrime e sangue potrebbe vincere in tutti i territori del settentrione nei prossimi due anni. A meno che, all’ultimo momento, non si cambi idea e si converga verso altre soluzioni (Dini) o addirittura si decida di non mollare Berlusconi al suo destino. Se prevarrà la linea dura, la Lega smetterà anche di essere percepito come un partito di destra, soprattutto se le nuove leve (Tosi in primis) riusciranno a imporre la loro filosofia: buon governo e difesa dell’economia.

Idv

Non so se Di Pietro avrebbe avuto lo stesso atteggiamento se i suoi voti fossero stati decisivi per il Governo tecnico. Non ho controprove, ma credo che messo alle strette avrebbe appoggiato soluzioni a salvaguardia dell’interesse del Paese. Se non lo fa è perché se lo può permettere: è un atteggiamento strumentale, senz’altro, ma è legittimo, come è legittima l’opposizione della Lega (che pur mantenendo lo stesso approccio dell’Idv non ha ricevuto il minimo rimbrotto da parte degli alleati del Pdl). Oggi questo atteggiamento non paga: la paura degli italiani di fallire è troppa. Ma quanto più tortuoso sarà il tragitto verso il governo Monti, quanto più doloroso sarà il cammino delle riforme, tanto più Di Pietro potrà dire che in fondo, lui lo sapeva. Idem se un eventuale governo Monti dovesse, al contrario, non riuscire a fare ciò che promette. Le minacce del Pd a un alleato che aveva annunciato il sostegno a Bersani in eventuali primarie rinforza, se possibile, la posizione di coerente opposizione di Di Pietro.

Terzo Polo

Nessuno smottamento, nessuna incertezza, nessuna incoerenza, nessun mal di pancia. Lì erano, lì rimangono: attraggono parlamentari, attraggono i Poli. La calamita potrebbe staccare pezzi di Pdl subito e pezzi di Pd l’anno prossimo. Si ritornerebbe a una configurazione politica da Prima Repubblica, con un grande partito di centro che sorride a destra, mirando a un Ppe all’italiana e che ha già stretto accordi a sinistra (l’asse Casini-Bersani, con il primo candidato presidente della Repubblica in cambio del sostegno al secondo alle prossime elezioni politiche, di cui ha parlato Berlusconi, non è mai stato smentito). L’atteggiamento di tessitura di queste settimane non è certamente meno strumentale e più nobile di quello di Di Pietro o Bossi, ma non ha generato alcuna turbolenza comunicativa.

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