Dopo un ventennio di democrazia sospesa ci domandiamo se finalmente sia caduto lo sfascismo. L’auspicio è una cosa, i fatti ben altro. Lo “sfascismo” è un mio neologismo che vuole indicare un periodo di apparente democrazia (tenuta in stato vegetativo e intubata da una classe politica di finta opposizione) in cui si è governato nell’intento di assicurarsi privilegi, malcostumi, illeciti sotto forma di atti leciti con spregio assoluto del bene pubblico e con grave adulterazione delle legalità e della moralità.

Come ci ha brillantemente accennato ieri Crozza, un ventennio diretto da un egomostro, geniale neologismo che ben riassume ogni valenza terribilmente negativa imposta da un uomo solo ad un popolo.

Un ventennio che ci regala solo macerie, non solo in termini di debito pubblico e di credibilità internazionale, non solo compromettendo le generazioni future ma soprattutto sotto i profili culturale, etico, legale. Parte di questo Paese – non dimentichiamolo – si è identificata nel one man show da un lato manifestando disprezzo verso la politica tradizionale e dall’altro supponendo di divenire ricchi e potenti come lui. Un processo di identificazione autolesionista che si è perpetuato sino alla perseveranza diabolica.

Caduto – forse, attendiamo gli ultimi sviluppi – lo sfascismo occorre comprendere quale sia il futuro che ci attende. Le macerie non si rimuovono in qualche settimana ma richiedono un lungo processo di ricostruzione. Ciò che bisogna evitare è certamente un banale lifting. Siamo dinanzi a un viso rugoso, scavato, solcato profondamente, abbruttito, inaridito, disossato, oramai irrecuperabile.

Occorrerebbe una riflessione di anatomia antropologica per discernere tra la razza “legale” e la razza “illegale” che albergano nel nostro Paese e far sì che la razza illegale esca dalle nostre istituzioni. Tale razza si è impadronita della governance come un cancro che divora il corpo sano e sarà necessario intervenire con una cura che debelli il tumore, altrimenti si ripresenterà costantemente.

Possiamo riflettere su che cosa si debba fare in futuro.

La prima cosa, a mio avviso, è di non sostituire tale inetta e criminale (perché ha compiuto crimini contro gli interessi del popolo) classe politica con una nuova classe animata dagli stessi interessi personalistici. Occorre non solo sostituire le persone ma far si che i sostituti siano onesti, appassionati, disinteressati, interessati al bene pubblico, capaci. Non sostituzione dunque, ma cambiamento radicale.

Occorre evitare che la nuova classe politica si professionalizzi. Il professionismo della politica, il ceto politico che vive sempre e solo di politica è destinato a perdere ideali, pathos e senso della realtà. Ricordo che fui tra i fondatori dell’associazione Demos (1994) il cui primo fondatore (Pino Polistena) professava questo pensiero. Per salvaguardare la politica nel senso più alto e nobile bisogna evitare che divenga una professione. Dunque garantire un costante ricambio della classe politica è fondamentale. Un ceto politico eterno diviene un conclave e può declinare nell’affarismo.

La seconda è di assicurare la democrazia. Sembra banale ma non lo è. Il ventennio ultimo ci ha impartito un grande insegnamento: la nostra democrazia è assai fragile, al pari delle ali di una farfalla. Occorre dunque garantire a ampliare gli istituti di democrazia diretta, avere una semplice legge elettorale che non espropri della volontà gli elettori, impedire che si candidino personaggi loschi, impedire che la partitocrazia tappi l’accesso alle elezioni di nuovi soggetti, istituire meccanismi di verifica e di controllo della classe politica che governa.

La terza è di fare riforme strutturali e durature, a prescindere dalle prescrizioni della Bce (altra gravissima anomalia sulla quale occorrerà presto riflettere: oramai la democrazia viene espropriata dall’economia, dalle banche!) che sappiano dare un futuro alle generazioni. Rivedere il proprio modello di sviluppo (di sviluppo sostenibile vogliamo parlare? E di sviluppo alternativo e di rinuncia all’hard power e al taglio drastico delle spese militari? E della straordinaria potenzialità e redditività del Ministero dei Beni culturali?); tagliare la spesa pubblica e la politica parassitaria; riformare definitivamente le pensioni incidendo sui diritti acquisiti illegittimamente in danno delle generazioni future; riformare il fisco e la giustizia subito, definitivamente.

Occorre subito stendere un patto sociale con tutti gli italiani ponendo principi inderogabili: legalità, onestà, merito.

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