I salvati non si contano. I fiumi ripuliti non si inaugurano con il taglio di un nastro. Le alluvioni hanno ucciso venti persone e ricoperto di fango la Liguria, ma mettono a nudo mali dell’Italia. La tragedia che si compie sotto i nostri occhi è il paradigma della crisi morale e politica del Paese. Certo, sono caduti 300 millimetri d’acqua. Il clima è cambiato. Ma non è cambiato il clima umano. Basta sovrapporre le fotografie di Genova ieri e nel 1970, quando il Bisagno uccise più di venti persone: in mezzo ci sono 40 anni passati invano e tante vite perse.

Vero, ci sono mali tipicamente liguri. Con responsabili – morali e politici, se non penali – precisi. C’è stata la dissennata corsa al mattone sulle alture. L’acqua sul cemento corre veloce, raggiunge in pochi minuti i fiumi. Uccide. Di questo è responsabile parte della classe politica ligure, di centrosinistra e di centrodestra, che ha dato via libera alla speculazione immobiliare, che ha costruito porticcioli alle foci.

Parliamo del passato, come del presente, con outlet pronti a sorgere a Brugnato, nella zona alluvionata (operazione voluta dalla Lega e sponsorizzata da amici nel Pd). Con porticcioli da mille posti barca che stanno per nascere alle foci del Magra, per la gioia di società e politici di centrosinistra. Intanto, denuncia il Wwf, la Regione Liguria riduce la distanza dai fiumi per le nuove costruzioni. Ma una mano sulla coscienza dovrebbero mettersela anche gli imprenditori, le attivissime cooperative, pronti a costruire senza curarsi delle conseguenze. I mali di Genova, però, toccano corde non solo locali. La politica, quella vera, dovrebbe valutare il bene collettivo, prendere decisioni anche impopolari, non favorire i costruttori amici. Guardare al futuro. La politica deve salvaguardare l’ambiente, la terra, nostra identità anche culturale e pegno per le generazioni future. Fonte di ricchezza, ma soprattutto garanzia di vita.

In Italia non è così. Ci tocca ascoltare la lezione di Berlusconi contro il cemento. Soltanto in un Paese senza memoria, senza rigore, un cementificatore padre di condoni può pontificare sulla pelle dei morti. Accade, perché pochi possono scagliare la prima pietra. Si costruisce e non si investe nella prevenzione. Con fiumi puliti e bonificati, non ci sarebbero milioni di tonnellate di fango, detriti e alberi a bloccare i corsi d’acqua. No, la morte delle donne e dei bambini a Genova non viene solo dalla tremenda pioggia, ma anche da decenni di speculazioni, di sprechi che portano consenso sottraendo risorse all’essenziale cura del territorio.

La politica è altro. È investire nella prevenzione i 10 miliardi per la messa in sicurezza di tutto il territorio nazionale, invece di spendere molto di più per rimediare ai danni. E le vite non si recuperano: in cinquant’anni le frane hanno ucciso 4.000 persone. Due volte gli attentati dell’11 settembre. Non vogliamo il solito spettacolo: gli amministratori che con la stessa mano abbracciano i parenti delle vittime e firmano nuovi progetti.

Il Fatto Quotidiano, 6 novembre 2011

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