C’è molto da criticare sull’azione del Governo e sulle condizioni politiche, economiche, e morali dell’Italia. Ma l’umiltà dimostrata dall’Italia al G20 è una novità positiva. Sarebbe stato peggio assumere posizioni arroganti, fumose, poco serie, di fronte ai creditori e ai leader che hanno in mano i nostri destini. Diceva un poeta:

Piuttosto che farmi Gozzano
un po’ scimunito ma greggio,
farmi gabrieldannunziano
sarebbe stato ben peggio!”

Ma ieri è filtrata da Cannes un’umiltà appropriata e ben dosata. Nella sostanza, B. non ha calato le braghe. Arriva il Fmi (ci serve per importare credibilità, scarsa dalle nostre parti) ma non la sua condizionalità. Per la prima volta da luglio, l’Europa non ci impone manovre aggiuntive, contrariamente alle intenzioni a mezza bocca della vigilia. Sembra che B. abbia detto stop” alle strategie iperdepressive, promosse – con risultati nulli – dall’Ue in Grecia, Irlanda, Portogallo: una posizione dignitosa.

Oltre alla sostanza, c’è la forma. Una novità è anche il tono più rispettoso, incoraggiante, dei leader nei confronti dell’Italia. “L’Italia non è la Grecia”, è “un grande paese, “con risorse importanti”, “il debito italiano è un problema in via di soluzione”. “L’Italia è un paese irrinunciabile per la zona Euro (tradotto: non vi abbandoneremo). Non erano stati questi i toni del vertice di Bruxelles una settimana fa. C’è però un limite alla cortesia internazionale, ed è la ferma pretesa, su cui nessuno accenna a sconti, che l’Italia mantenga gli impegni: li mantenga e basta. Da dove nasce questo rispetto formale nuovo? Le agenzie descrivono se non altro un Berlusconi impegnato a discutere con serietà il merito dei problemi. Una settimana fa filtravano ben altre voci.

A parte l’Italia, il comunicato finale delinea una svolta delle politiche economiche globali, e contiene importanti ammissioni dei nostri partner europei. Si riconosce che i problemi non nascono solo dai paesi indebitati; perciò non sono solo i Piigs a dover fare i compiti: “ciascuno di noi farà la sua parte” (punto numero 4 del comunicato). In particolare:

1. N. 14 del comunicato: diversi attori sono responsabili della stabilità finanziaria, incluse “le banche centrali”! Ovvio? Non secondo Trichet, per il quale la Bce aveva un solo obiettivo, la stabilità dei prezzi. In diplomatichese, il G20 invita la Bce ad interpretare il suo mandato in senso più ampio. Vai, Mario, vai!

2. Si riconosce (n. 2) che stiamo entrando – chi più chi meno – in recessione. Perciò (n. 5) i paesi con finanze pubbliche solide si impegnano a “lasciar operare liberamente gli stabilizzatori automatici” e a introdurre “nel caso la situazione lo richieda… misure aggiuntive a sostegno della domanda interna” e della “crescita nel medio termine”. Prendono esplicitamente quest’impegno: Australia, Brasile, Canada, Cina, Germania, Corea e Indonesia.

3. Le politiche monetarie devono perseguire sia la stabilità dei prezzi, sia la ripresa dell’attività economica (n. 5 in fondo). Adieu Monsieur Trichet, Herr Stark.

4. N. 5, quasi in fondo: i paesi in surplus (non quelli in deficit!) favoriranno il riequilibrio delle partite correnti: tramite cambi più flessibili (leggi: Cina), e “riforme volte a stimolare la domanda interna” (Germania e paesi nordici).

Conclusione: c’è aria nuova in giro.
– Obiettivamente, la performance di B. è stata superiore alle attese, con tutte le difficoltà anche psicologiche che si porta dietro.
– Non potevamo attenderci un esordio migliore da Supermario: il secondo giorno del suo mandato abbassa i tassi, e dice: Trichet, hai sbagliato direzione! Andare oltre subito era impossibile.
– Chi ha letto i miei post precedenti sa che da molto tempo invoco le misure promesse ieri dal G20.  A furia di sberle, il mondo – l’Europa – sta lentamente trovando la soluzione del rebus.

Meglio tardi che mai? O piuttosto: troppo poco, troppo tardi? Ieri i mercati hanno continuato a crollare: segno che ancora non ci siamo. Vedremo. I tempi e le dosi, no, ma la direzione è quella giusta!

Suona le campane che ancora suonano
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Ci sono crepe ovunque:
Da lì entra la luce.

Leonard Cohen

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