Vedere le migliaia di persone accalcarsi davanti al maxischermo su cui scorrevano in diretta le immagini del funerale del motociclista Marco Simoncelli, e pensare ai milioni che hanno assistito alla cerimonia in televisione e su internet, dà alla fine della vita una portata mediatica fino a pochi anni fa inimmaginabile e la trasforma in un moderno fenomeno sociale.

Sono due gli elementi da analizzare a questo riguardo: da una parte il cinismo dei mass media e dello show business, dall’altra le ragioni delle moltissime persone, non solo i fan delle corse in moto, che si sono appassionati a questa tragica fine.

Scusate ma dobbiamo interrompere le trasmissioni”. Fino ad alcune decine di anni fa era questa la reazione della televisione a una morte o un grave incidente in diretta. Oggi invece si mostra nel dettaglio, se ne fa la moviola e nessuno si stupisce più. È  la normalità. Anzi l’accanimento fa audience, e gli esempi sono fin troppi.

Questo fenomeno di ostentazione della morte è dettato dal cinismo di chi, a dispetto della sofferenza reale delle persone che conoscevano Simoncelli, approfitta della curiosità degli spettatori per trarne profitto. Si sfrutta questa esposizione mediatica per farsi pubblicità o per vendere spot di automobili e pizze surgelate inseriti come intermezzo dopo l’incidente o durante i funerali in diretta. Ma ognuno fa i conti con la propria sensibilità.

L’altro aspetto, ancora più interessante è quello che spinge tante persone a non cambiare canale, anzi a rimanere incollati alla tv e a cercare approfondimenti sul web. Questo interesse ha assunto a volte anche tratti morbosi, ma sicuramente presenta un aspetto collettivo non trascurabile.

Il pubblico ha vissuto in tempo reale ogni momento della tragedia. Ha assistito alla morte di Simoncelli in diretta televisiva, ha visto il momento in cui il suo corpo è caduto dalla barella nel video girato su youtube, e poi il funerale, il commento degli amici, dei rivali, dei genitori e della fidanzata fino al posizionamento dell’urna cineraria. Un bombardamento di immagini in cui nulla è stato lasciato alla privacy che dovrebbe avere un lutto. La sofferenza collettiva è stata amplificata dal web. Dai video e gli articoli postati e dalle foto diventate immagini del profilo su Facebook.

Il fenomeno del “lutto su facebook” si era già verificato in altre occasioni molto diverse come per Steve Jobs, il cui personaggio è stato riconosciuto da molti come una figura che ha saputo rivoluzionare il modo di vivere. Simoncelli però non era un personaggio popolare di quella portata. Non era ancora un campione conosciuto come Valentino Rossi, ma aveva i numeri per diventarlo. Era una speranza per il futuro. Una speranza perduta, in cui molti hanno rivisto quella di tanti ventenni. La sua tragica fine è diventata simbolo di una generazione che ha perso il futuro.

Come per gli antichi greci vedere e immedesimarsi nella sofferenza e nella morte degli eroi della mitologia a teatro era una maniera per riconciliarsi con se stessi attraverso la catarsi, la fine di Marco è diventata per l’Italia di oggi un modo per esorcizzare il dolore nella sofferenza collettiva di un’epoca segnata dalla crisi economica e dalla umiliazione dei giovani. La corsa interrotta di quella moto è diventata un dolore italiano che avvicina tutti quelli che stanno vivendo la fine di un sogno, il sogno di una strada davanti a sé su cui poter volare.

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