E’ successo qualcosa di straordinario ieri sera quando, per la prima volta, le luci della TV si sono accese fuori dalla TV.

Servizio pubblico, la nuova trasmissione di Michele Santoro ha inferto un duro colpo alla tv del duopolio “Raiset” e, ad un tempo, regalato alla TV (questa volta quella con le maiuscole) un nuovo libro, ancora tutto da scrivere ma – almeno teoricamente – destinato a riempirsi in fretta di pagine di storia che parleranno di libertà, pluralismo e indipendenza dei media dalle cose della politica.

Non parlo dei contenuti della trasmissione che possono esser piaciuti o non piaciuti, ma della multi-piattaforma ibrida scelta per raggiungere il pubblico: tanti canali trasmissivi diversi e al centro il web, con il gigante del social networking del momento ad arricchire la tv di ieri di straordinarie attitudini interattive, capaci di far grande la TV – se così vogliamo continuare a chiamarla – di domani.

I cittadini che la tv di ieri ha relegato al ruolo di soggetti tanto passivi da non aver neppure il diritto di chiedere a un giudice di verificare se la Rai adempia correttamente ai suoi obblighi da concessionaria monopolista del servizio pubblico, si trasformano, nella nuova TV ibrida e multi-piattaforma, in soggetti attivi, capaci di stimolare il dibattito in tempo reale, di manifestare nella più grande piazza della storia dell’umanità adesioni e dissensi dinanzi alle parole di questo o quel politico e, soprattutto, di partecipare attivamente al successo o all’insuccesso di una trasmissione accendendo o spegnendo il computer, senza che i “miracolosi algoritmi” dell’Auditel, troppo spesso influenzati da logiche pubblicitarie, decretino in autonomia successi ed insuccessi.

Abbiamo assistito, consapevoli o inconsapevoli, a una piccola, grande rivoluzione: la morte della tv e la sua resurrezione in un altrove che non appartiene più, né può appartenere, a questo o quel tycoon dei media, né essere controllato da questo o quel Governo.

La piattaforma ibrida e multi-canale di Servizio Pubblico è, ormai, collaudata e un “palinsesto” – ammesso che l’espressione possa accompagnare la TV in questo straordinario mutamento genetico – potenzialmente infinito è a disposizione di quanti abbiano contenuti e informazione di qualità da diffondere online.

Non esistono, d’altra parte, questa volta, frequenze da accaparrarsi e spartirsi tra i soliti noti e la piattaforma usata da Santoro per Servizio Pubblico è ri-utilizzabile – se l’editore riterrà di aprirla anche a contenuti diversi – o, invece, replicabile.

Se ci abituiamo, da cittadini-utenti, a seguire i “programmi televisivi” di ieri anche davanti allo schermo di un Pc, basterà davvero poco per privare, per sempre, la tv di ieri del suo straordinario potere di influenza e governo delle masse, e per rendere la TV di oggi e domani finalmente libera e pluralista anche in Italia.

Non è, naturalmente, tutto facile come sembra.

Perché la rivoluzione abbia successo, occorrono due requisiti irrinunciabili: la diffusione della banda larga deve divenire una priorità e le risorse di connettività essere poste – senza ulteriore ritardo – a disposizione di un numero di cittadini pari a quello oggi raggiunto dalle infrastrutture di diffusione dei segnali televisivi (analogico, satellite e digitale terrestre), e le autostrade dell’informazione devono essere gestite in modo trasparente e neutrale, almeno in relazione ai contenuti che vi circolano.

Occorre, dunque, indignarsi per l’inaccettabile rifiuto del Governo di investire nella diffusione della banda larga e imporre il tema come priorità nell’agenda politica di chi si candiderà al Governo del Paese e non stancarsi di pretendere dal Parlamento e dalle Autorità di vigilanza che garantiscano l’assoluta neutralità nella gestione del traffico sulle reti di comunicazione telematica.

L’accesso ai contenuti della trasmissione di Santoro da parte di tutti i cittadini deve essere garantito a condizioni identiche ad ogni altra trasmissione a prescindere dal suo “colore politico”.

La tv è morta ma una nuova TV potrebbe essere appena nata.

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