Il ministro Maurizio Sacconi torna “sul luogo del delitto” e domani, in visita a Bologna per presentare il suo libro, sarà ospitato nel quartiere amministrato da sua cognata Ilaria Giorgetti. Proprio nella sale di quel municipio, alcuni mesi fa il ministro del Welfare fu indiretto protagonista di un caso politico partito dai banchi del quartiere cittadino Santo Stefano, un caso che aveva messo in imbarazzo i vertici nazionali del Popolo della Libertà, dopo che Sacconi intervenne direttamente perché la sorella di sua moglie fosse eletta.

La presentazione dell’ultima fatica letteraria di Sacconi si terrà nell’unico tra i nove quartieri cittadini strappato dai berlusconiani al centrosinistra in occasione delle ultime elezioni comunali di maggio. Allora Ilaria Giorgetti, capolista e designata alla presidenza del municipio bolognese, si ritrovò schiacciata in una lotta tra fazioni interna al partito. Una volta conquistato il quartiere, infatti, Lorenzo Tomassini, uomo di punta del Pdl bolognese, aveva cominciato la sua guerriglia interna al partito. Alla base c’era una questione di posti in commissione comunale che, a suo dire, sarebbero spettati a lui. Una di quelle poltrone, la presidenza di una commissione comunale, andò a Valentina Castaldini (in quota Comunione e liberazione, quarta per preferenze alle elezioni) e Tomassini, furioso per lo smacco, si prese la sua rivincita al Santo Stefano, facendo mancare i voti alla cognata di Sacconi durante le votazione per eleggere il presidente.

Qui intervenne Sacconi. Il capo del dicastero del Lavoro fece pressione su Tomassini, avvisandolo: o i tuoi votano Ilaria o col Pdl hai chiuso. Per la cronaca, andò così: Sacconi chiamò Giampaolo Bettamio, vice-coordinatore regionale Pdl, che sua volta telefonò a Tomassini, cercando di convincerlo fino a minacciarlo di “tirar fuori lo statuto”, cioè di espellerlo, se non si fosse convinto a votare la candidata prescelta dai vertici del Pdl.

Ci volle un mese e un rischio concreto che il quartiere andasse a delle ridicole elezioni anticipate. Tomassini, solo dopo essere stato convocato a Roma in via dell’Umiltà (sede nazionale dei berlusconiani), desistette e i consiglieri di quartiere della sua fronda diedero il via libera alla cognata del ministro.

Ora, dopo quasi cinque mesi, Sacconi arriva nel teatro di quello scontro proprio nei giorni in cui è sotto l’occhio del ciclone per due questioni. La prima è quella dei licenziamenti facili, proposti nella famigerata lettera del premier all’Unione europea della scorsa settimana. Poi, questa settimana, il ministro Sacconi è tornato a evocare lo spettro del terrorismo: “Non è necessario temere un ritorno all’eversione di massa degli anni Settanta, per paventare che un dibattito politico manicheo ed esasperato come quello dei giorni nostri possa produrre un ‘contesto’ nel quale un gruppetto sparuto di esagitati possa tentare di eliminare il ‘nemico dei lavoratori’ di turno”. Sacconi era stato ancora più esplicito: oggi “in Italia non esiste (ancora…) un movimento eversivo” con “energie terroristiche” come allora. Ma “Marco Biagi non è stato ucciso da una possente organizzazione terroristica. È stato assassinato da un gruppetto di una decina di persone”.

Considerando che il giuslavorista fu ucciso proprio a Bologna, la visita del ministro assume in questi giorni un significato simbolico. C’è anche chi teme, per tutte queste ultime uscite, delle contestazioni. “Sacconi arriverà in città ordine pubblico permettendo”, ha detto oggi lo stesso deputato Fabio Garagnani, coordinatore cittadino del Pdl.

D.M.


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