Gli “stress test” sulle centrali atomiche europee, effettuati per volere della Commissione in seguito alla tragedia nucleare di Fukushima, risultano “incompleti, lacunosi ed approssimativi”. L’accusa parte da Greenpeace, dopo una verifica preliminare delle oltre 10mila pagine di prove e analisi effettuate in questi mesi sui reattori del vecchio continente. L’Ong mette in luce  l’assenza di un piano di evacuazione per le città più vicine alle centrali, o come non siano state analizzate situazioni quali l’impatto di un aereo di grandi dimensioni su un impianto nucleare. Mancano anche analisi su quanto succederebbe in caso di danni a una centrale con più reattori, come è accaduto a Fukushima: cosa che era stata esplicitamente richiesta dallo European Nuclear Safety Regulators Group (Ensreg), l’organismo che ha progettato i test. Polemiche che sorgono mentre anche in Belgio, come in Germania e Svizzera, ci si appresta a dire anticipatamente addio all’atomo.

Per Jan Haverkamp, consulente di Greenpeace per l’energia nucleare, uno dei principali problemi riscontrati nei risultati degli stress test “è che manca ancora la piena trasparenza”. “Abbiamo potuto valutare tutti i rapporti dei supervisori, ma solo metà di quelli degli operatori”, fa notare Haverkamp, che ha individuato nelle migliaia di pagine di prove e analisi una “allarmante” lacuna comune: “Manca uno studio di impatto sulle prime conseguenze di un eventuale incidente sulla popolazione”. In altre parole: “Non ci sono i piani per l’evacuazione”.

Sotto accusa anche l’età dei reattori, che “non viene adeguatamente considerata”; mentre è scandaloso, secondo l’Ong, che non vengano analizzati “i pericoli di un’avaria a un multireattore e gli effetti di un incidente provocato da aerei di grandi dimensioni”. Sul sito dell’associazione ambientalista, dove grazie ad una mappa interattiva è possibile conoscere i risultati degli stress test eseguiti sulle centrali dell’Ue, si legge a tal proposito che nessuna centrale europea potrebbe resistere all’impatto con un aereo delle dimensioni di un Boeing 767, lo stesso utilizzato negli attentati alle torri gemelle di New York.

In parallelo a queste “lacune comuni”, risaltano anche le enormi differenze nella serietà con cui questi test sono stati effettuati. Se la Francia viene indicata come la “più rigorosa” nel presentare i dati raccolti, soprattutto per la maggiore indipendenza dei supervisori nazionali, Paesi come Svezia, Regno Unito o Repubblica Ceca vengono invece accusati di “non aver fornito diverse informazioni”.

Anche la qualità dei rapporti forniti cambia molto da una nazione all’altra. Infatti, la Repubblica Ceca ha presentato un rapporto di sole sette pagine, nonostante abbia sul proprio territorio sei reattori: “Una presa in giro – fanno presente da Greenpeace – se si pensa che la Slovenia, con un solo reattore, ha presentato un rapporto di 177 pagine”.

Delusione anche da parte di Salvatore Barbera, responsabile della campagna nucleare di Greenpeace: “Fukushima ci ha insegnato a pensare l’impensabile e questi test dovevano obbligare chi gestisce le centrali nucleari a fare esattamente questo”. E adesso, lamenta l’attivista: “Invece di un’analisi esaustiva ci troviamo pieni di incognite”.

Nel frattempo, in un Belgio che si appresta finalmente a riavere un governo, fiamminghi e valloni sembrano una volta tanto uniti, proprio nel rifiuto dell’atomo. Secondo un sondaggio Ipsos, infatti, solo l’8% dei belgi sostiene apertamente il nucleare, mentre il 29% si dice “fortemente contrario” (secondo lo stesso sondaggio, in Italia quest’ultima percentuale arriva addirittura al 61%).

Guidati dal socialista Elio Di Rupo, futuro premier del piccolo Regno mitteleuropeo, i negoziatori che stanno trattando per formare il nuovo esecutivo si sono così accordati sull’uscita dal nucleare entro il 2015, in anticipo di dieci anni rispetto a quanto già previsto da una legge del 31 gennaio 2003. Il tutto senza però fissare una data precisa per la graduale chiusura degli impianti.

Il Movimento riformatore liberale ha sottolineato che il Paese “deve dotarsi di un piano di approvvigionamento strategico”, prima di compiere un passo del genere. Infatti, resta ancora tutta da affrontare la questione dei costi che una tale scelta comporterà, e soprattutto quella di trovare fonti alternative a quella nucleare. La Commission de régulation de l’électricité et du gaz (Creg), inoltre, ricorda ai futuri governanti che secondo un nuovo studio sulla produzione di elettricità installata in Belgio nel 2010, oggi “esiste una mancanza di capacità di produzione elettrica” che “aumenterà ancora entro il 2015”.

Il nuovo governo di Bruxelles, insomma, ancora prima della sua nascita si trova a dovere affrontare una prima importante sfida: elaborare, entro sei mesi al massimo dal giorno in cui l’esecutivo entrerà in funzione, un piano che permetterà di rimpiazzare i sette reattori nucleari belgi con nuove fonti di energia diversificata.

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