Una gran parte degli italiani evadono il fisco, a meno che non si trovino in condizioni che rendano ciò impossibile, come essere lavoratori dipendenti regolarmente dichiarati. Quelli che non possono evadere, spesso accettano l’evasione degli altri come una cosa molto leggera; talvolta si dispiacciono solo un po’ di non poter fare la stessa cosa. C’è forse qualcuno che non ritiene Valentino Rossi un eroe nazionale, pur sapendo che ha evaso il fisco italiano per somme spropositate? Quelli che non evadono, non si rendono conto di essere dei derubati. E poi, in fondo, anch’essi pensano di avere un piccolo ritorno da questo stato di cose, magari pagando una cifra un pochino inferiore al professionista che non emette fattura.

Nel suo romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, Milan Kundera mette in rilievo come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile.

Sarebbe ora che i “derubati” (almeno loro, ma si spera anche gli altri) si rendessero conto che la loro leggerezza è insostenibile, e pretendessero da chiunque si candidi a governare questo paese che l’eliminazione dell’evasione fiscale sia posta come priorità numero uno. I mezzi per farlo sono conosciuti e sperimentati in tutto il mondo, e i risultati si ottengono velocemente se dietro c’è una forte determinazione politica.

Uno studio del Munich Personal RePEc Archive, pubblicato nel 2010, stima che in Italia la percentuale di redditi non dichiarati da parte dei lavoratori autonomi è di circa il 51%. Lo stesso studio mostra che l’evasione riduce le entrate fiscali del 21% in Italia, del 26% in Grecia e del 19% in Ungheria. Le stime dell’Eurostat e dell’Oecd pongono la percentuale delle entrate fiscali rispetto al Pil (prodotto interno lordo) un po’ sopra il 42%. Quindi, facendo un semplice calcolo, senza nessuna pretesa di esattezza, e giusto per dare un ordine di grandezza, l’evasione fiscale costa all’Italia l’11% del Pil. Per parlare in termini comprensibili a tutti, si tratta di una cifra enorme, che, anche se recuperata non interamente, permetterebbe all’Italia di uscire immediatamente dai problemi di finanza pubblica che la stanno affliggendo, e di poter in più destinare una percentuale sostanziosa del proprio Pil a investimenti in ricerca e sviluppo, o a diminuzione delle tasse, o ad altro. Cioè poter evitare i tagli alle pensioni, gli aumenti delle tasse, le diminuzioni dei servizi, o anzi fare il contrario; e in più poter fare interventi di politica industriale e sostegno alla ricerca, per creare aziende che possano competere internazionalmente dando una possibilità di lavoro ai giovani.

A questo punto l’obiezione del derubato con leggerezza è la seguente: “no no, io li capisco quelli che evadono il fisco, se è per dare soldi allo stato, in cui tutti rubano, e che non eroga buoni servizi ai cittadini”. Il primo problema in questa interpretazione è che se quelli continuano a evadere il fisco, bisognerà pur far quadrare i conti, come gli avvenimenti di questi giorni rendono lampante. E quindi lo stato metterà le mani nelle tasche del derubato con leggerezza. E diminuirà la spesa pubblica, che in gergo tecnico è un intervento a “alto moltiplicatore”, cioè impatta fortemente (in senso negativo) il reddito nazionale. La grave depressione in cui versa la Grecia in seguito ai tagli della spesa pubblica ne è un esempio.

E poi facciamo anche l’ipotesi che lo stato e i dipendenti pubblici siano sempre e comunque inefficienti. Quando si privatizzano servizi pubblici, se i fornitori privati di questi servizi sono in un numero abbastanza elevato e in condizioni di effettiva competizione fra loro, ne può conseguire un miglioramento del servizio e del costo per il cittadino. Se invece queste condizioni non sussistono, succede sempre e invariabilmente che fornitori in una posizione monopolistica o oligopolistica finiscono per fornire un servizio peggiore e più costoso. Infatti, i fornitori in queste condizioni hanno l’incentivo ad alzare i prezzi e abbassare i costi, cioè la qualità del servizio, per massimizzare i profitti, e possono farlo senza perdere clienti. Queste non sono pure elucubrazioni di teorie economiche, al contrario molte esperienze a livello internazionale confermano questo fatto. Joseph Stieglitz per esempio, l’economista americano premio Nobel, dà un’illustrazione precisa degli effetti perversi cui hanno portato la privatizzazione di certe “utilities” (gas, acqua, etc.) in California. Stieglitz non è un economista comunista ed io non sono un black bloc: in questo momento è importante che gli italiani non si facciano imbonire da programmi di privatizzazioni presentati con lo slogan “privato è bello”, che invece impoveriscano ulteriormente il cittadino.

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