Il controllo dei governi sui social network diventa sempre più stretto. E i movimenti si adeguano, sperimentando nuovi media in grado di sfuggire alle maglie della censura.

La prova arriva da New York, dove gli attivisti di Occupy Wall Street, accampati da oltre un mese a Zuccotti Park, hanno scelto di affiancare ai media tradizionali altri mezzi finora poco utilizzati: da Vibe a Tumblr, per arrivare a strumenti nuovi di zecca, creati per l’occasione, come il portale “New York City General Assembly”.

Evitare i canali mainstream della comunicazione appare infatti necessario sfuggire al controllo dei governi. Un rischio, questo, sempre più concreto, anche nel liberale Occidente. Lo scorso agosto, proprio attraverso gli sms scambiati via Blackberry il governo inglese guidato da David Cameron riuscì a risalire all’identità di molti protagonisti dei riot di Londra. Più di recente, è stato il governo italiano a setacciare il web, e in particolare Facebook, per dare la caccia ai black bloc attivi durante la manifestazione di Roma del 15 ottobre.

E così che il movimento Usa, nato in rete con una convocazione via web lanciata a luglio dal magazine canadese Adbusters, ha deciso di sperimentare strumenti poco popolari tra il grande pubblico. Il più utilizzato è Vibe, un’app per iPhone che consente di scambiare messaggi con gli altri utenti del servizio, mantenendo l’anonimato e senza bisogno di alcuna registrazione preventiva. Gli utenti devono solo stabilire il raggio di diffusione del messaggio desiderato (da poche centinaia di metri fino all’intera superficie terrestre) e il suo periodo di “vita” (da 15 minuti a sempre). Scaduto il tempo programmato, il messaggio scompare, senza lasciare traccia. Proprio Vibe, creato originariamente per comunicare all’interno dei college e in occasione dei concerti, è stato utilizzato dagli attivisti di Occupy Wall Street a fine settembre per raccontare i primi arresti e denunciare i maltrattamenti della polizia, senza il rischio di venire intercettati.

Altrettanto diffuso a Zuccotti Park, e decisamente più noto anche nel resto del mondo, è Tumblr, la piattaforma di microblogging che si pone a metà strada tra Twitter e un blog classico, consentendo di postare anche foto e altri documenti. Il riferimento in questo caso è la pagina “We Are The 99 Percent”, ripresa da migliaia di utenti, che qui possono trovare immagini delle manifestazioni di New York, Boston e Chicago, inclusi striscioni, manifesti e schermate dai notebook in cui vengono rappresentate le ragioni della protesta.

I manifestanti di Occupy Wal Street si sono però spinti anche oltre, arrivando a creare un nuovo social network, ad uso esclusivamente interno, chiamato “New York City General Assembly”. In questo caso si tratta di un sito sviluppato su una piattaforma WordPress, che – come ha spiegato uno dei suoi ideatori, Drew Hornbein, 24enne programmatore di Brooklyn – ha lo scopo di riprodurre sul web gli incontri e i dibattiti che avvengono quotidianamente tra i manifestanti, consentendo la partecipazione anche a chi non può raggiungere fisicamente Zuccotti Park.

Quella messa in atto sul web da parte degli attivisti Usa, insomma, è una vera e propria strategia, a cui oltreoceano è stato dato il nome di “anti-popular social media strategy”. Quello che il commentatore della Cnn Douglas Rushkoff ha definito “il primo vero movimento Americano dell’era di internet” non poteva però non avere anche una presenza sui social network “tradizionali”, che se non altro consentono di arrivare a un pubblico più vasto. In questo caso i numeri raggiunti sono impressionanti: l’account Twitter [@occupywallst] ha oltre 85mila follower, mentre la pagina “Occupy Wall Street” di Facebook conta più di 250mila fan. Il tutto in un solo mese di mobilitazione.

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