Le ultime, numerose iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema delle carceri ci hanno indotto a svolgere una breve analisi sull’argomento e, fra le molte statistiche disponibili sulla situazione degli istituti penitenziari del nostro Paese, ne abbiamo scelte alcune da sottoporre all’attenzione dei lettori, corredandole di confronti con gli altri Stati europei, per proporre qualche riflessione.

Le carceri italiane ospitano un numero davvero consistente di imputati, rappresentato da una quota considerevole di detenuti in attesa di giudizio definitivo, pari, nel 2010, al 42,4% del totale dei carcerati e che ha raggiunto punte elevatissime, oltre il 50%, tra il 2006 e il 2008 (tabella 1).

E’ chiaro che all’interno della categoria “persone in attesa di un giudizio definitivo” vi sono situazioni assai differenti fra loro (si passa, infatti, dal soggetto appena arrestato che attende il giudizio di convalida, al condannato in appello che ha presentato ricorso in Cassazione): ciò non toglie, però, che per la nostra Costituzione si tratti di persone che si presumono non colpevoli. E’ quindi ragionevole ritenere che l’elevata percentuale di imputati sul totale dei detenuti rappresenti una patologia del sistema penale. A cosa è dovuto, però, questo fenomeno? E’ la conseguenza di un eccessivo ricorso alla custodia cautelare, oppure di un sistema di pene troppo blande, tale da far sì che si stia in carcere solo prima di essere definitivamente condannati?

Un carcere sempre meno italiano

La tabella 2 sottolinea un aspetto che ormai caratterizza il nostro sistema penitenziario: la crescente e rilevante presenza di detenuti stranieri. Mentre l’aumento di stranieri nei nostri penitenziari non stupisce, poiché è spiegabile con la crescente presenza di immigrati sul territorio nazionale; colpisce assai di più il fatto che gli stranieri rappresentino, nel 2010, il 36,7% della popolazione detenuta, mentre costituiscono soltanto il 7,5% di quella residente in Italia.

E’ anche interessante notare come in appena 8 anni (2002-2010) la popolazione carceraria sia sempre aumentata (tranne che nel 2006, per effetto dell’indulto), ma in modo del tutto disomogeneo tra quella italiana e quella straniera: i nostri connazionali assicurati alla giustizia sono cresciuti del 10%, mentre gli immigrati sono aumentati di quasi del 50%. Quali sono le ragioni di questa sovrarappresentazione degli stranieri nei nostri istituti penitenziari?

Il tema è estremamente complesso e, in questa sede, si possono avanzare soltanto alcune ipotesi: il maggior tasso di esclusione sociale che normalmente caratterizza gli “ultimi arrivati” in un paese; l’età media della popolazione immigrata (più bassa di quella della popolazione italiana); la presenza di leggi che penalizzano i reati di cui più frequentemente si macchiano gli stranieri e, al contempo, la scarsa efficacia della repressione dei reati dei “colletti bianchi”, prevalentemente commessi da italiani (ad esempio, corruzione, reati finanziari, grandi evasioni fiscali, ecc. ecc.).

Quanto costa un detenuto?

E’ una domanda ricorrente che in molti si pongono. Un detenuto oggi costa, all’intera comunità, circa 113 euro al giorno (tabella 3). Anche se tale costo può suscitare una certa impressione, va chiarito, però, che in tale dato sono conteggiate tutte le spese relative al sistema penitenziario, non solo, per così dire, il “vitto e alloggio” del detenuto, ma tutti i fondi assegnati alle carceri (stipendi del personale, manutenzione delle strutture, investimenti, ecc), che vengono utilizzate per far funzionare l’intero sistema.

Tra le diverse spese che compongono quel costo medio per detenuto, e che contribuiscono a incrementarlo, vanno anche segnalate quelle derivanti da alcuni compiti che in Italia, diversamente che all’estero, sono assegnati all’amministrazione penitenziaria e non ad altri corpi dello Stato (si pensi, ad esempio, al servizio di traduzione dei detenuti nei tribunali per i processi o negli ospedali per i ricoveri). C’è anche da sottolineare che il costo medio ha registrato una punta nel 2007 (198,44 euro/giorno), cui è seguita una graduale discesa, con una riduzione di spesa pari al 43% circa.

Confronti internazionali

Raffrontando alcuni fra gli indicatori più significativi (tabella 4) del settore penitenziario italiano con quelli degli altri Paesi membri dell’Unione Europea, ne viene fuori un’Italia con luci e molte ombre. Se, infatti, ci collochiamo (112) esattamente a metà classifica per l’incidenza di detenuti su 100 mila abitanti, precedendo di molto Paesi a noi più raffrontabili, per peso demografico e livello economico, quali Spagna (164 detenuti per 100 mila residenti) e Inghilterra (154), e seguendo Germania (88) e Francia (96), ci classifichiamo al penultimo posto per affollamento delle carceri e per percentuale di detenuti stranieri e addirittura all’ultimo per percentuale di detenuti in attesa di giudizio.

Dunque, tirando le fila di tutti questi numeri, ci sembrerebbe che la nostra analisi confermi i motivi di preoccupazione diffusi in parte dell’opinione pubblica per la situazione del “pianeta carcere”. Paiono evidenti, infatti, alcune anomalie del sistema, che contravvengono a quel rispetto che ogni essere umano deve ad un altro essere umano, a prescindere dalla sua etnia e da ciò che ha fatto di criminoso nella sua vita. Una domanda ci viene spontanea: il nostro è un sistema garantista di forma o di sostanza, nel momento in cui si accetta che circa la metà della popolazione carceraria sia in attesa di giudizio?

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