Tre anni e mezzo di condanna agli ex manager della Solvay per lesioni gravi colpose e omissione dolosa di protezioni nei luoghi di lavoro. È quanto ha chiesto al tribunale di Ferrara il pm Ombretta Volta. Nelle quattro ore di requisitoria la pubblica accusa ha riassunto trent’anni di storia dello stabilimento attivo fino al 1998 nella città estense.

Qui, dietro ai cancelli di via Marconi, si trasformava il gas cvm, altamente cancerogeno, in pvc. La Solvay era la multinazionale e in quasi quarant’anni di attività l’azienda aveva creato attorno a sé un villaggio industriale, sorto ai bordi del petrolchimico, un corpo avulso dal resto della città, cresciuto di dimensioni man mano che nuovi operai arrivavano per entrare dai cancelli di via Marconi. “Cercavamo braccia e arrivarono uomini”, diceva Max Frisch. E di uomini ne arrivano circa 400. Di quelli una sessantina sono morti di tumore.

Le prime avvisaglie di quello che sarebbe diventato il “caso Solvay” arrivarono dalle due fontanelle posizionate all’esterno di quei cancelli. Due fontane alimentate dai pozzi artesiani che pescavano nella falda al di sotto dello stabilimento. In quell’acqua nuotavano diversi pesci di piccole dimensioni. Una mattina, verso la fine degli anni ’70, qualcuno si accorse, che quelle sagome non nuotavano più. Galleggiavano immobili in superficie.

Oggi due ex dipendenti, malati di epatocarcinoma, Cipro Mazzoni e Michele Mantoan, puntano il dito contro gli ex componenti del consiglio d’amministrazione Solvic-Solvay Cyryll Van Lierde, Claude Yves Marcel Loutrel, August Arthur Gosselin, Michael Gerard Davis, William Arthur Banes e Pierre Vigneron. Contro di loro – costituiti parti civili – ci sono anche Inail, Comune e Provincia di Ferrara, sindacati dei chimici e Legambiente.

Mazzoni e Mantoan entrarono in Solvay rispettivamente nel ’62 e nel ’69. E, come i loro colleghi, nel corso del dibattimento hanno raccontato cosa voleva dire fare l’autoclavista. Le autoclavi erano “pentoloni” di 25 metri cubi di capienza all’interno dei quali il gas cvm (cloruro di vinile monomero) veniva trasformato in minuscoli granuli di pvc. Se c’era il rischio di incidenti, il materiale veniva spruzzato all’esterno attraverso il condotto di emergenza. Il cielo del quartiere del Barco si riempiva di minuscoli granelli di polvere bianca che ricopriva di un leggero strato niveo alberi e case. I bambini, all’esterno, ci giocavano come fosse davvero neve.

All’interno invece, alla fine di ogni ciclo di produzione, toccava agli autoclavisti scendere in quei pentoloni ripulirli dagli scarti della lavorazione. L’operazione avveniva manualmente. Dovevano raschiare a mano il cvm. Addosso semplici tute di stoffa e guanti. La maschere arriveranno appena nel ’74. Nel ’79 arriverà l’impianto di pulizia a vapore. Alcuni di loro accuseranno l’osteolisi, che colpisce le cartilagini delle mani, provoca sensazioni di freddo e ispessimento della pelle.

Ma questo è solo un aspetto di quelli toccati dal pm Volta. Il principale ruota attorno alla cancerogenicità del cvm. E, soprattutto, alla consapevolezza o meno della sua pericolosità.

È negli anni ’60 che le multinazionali della chimica commissionano studi in materia. Dalle ricerche del professor Pieluigi Viola prima e di Cesare Maltoni poi emergono dati preoccupanti. ma anziché essere resi noti, “vi fu un accordo segreto tra le industrie europee – continua l’accusa – per evitare che quei risultati divenissero pubblici”.

Nel gennaio del ’74 una prima svolta. Scoppia il caso Woodbridge: nel Kentucky muoiono 4 operai per angiosarcoma al fegato. I timori attraversano l’Atlantico e in Europa i giornali iniziano a parlarne: il cvm è il grande imputato delle preoccupazioni che affliggono 40mila lavoratori in tutta Europa. La seconda svolta proprio a Ferrara. Nel luglio ’75 muore di angiosarcoma al fegato Vanni Giovanni, operaio conduttore di autoclavi.

Solo allora – sottolinea il pm – Solvay ha cambiato atteggiamento”. Eppure “già dal ’69 i manager erano sicuramente a conoscenza della pericolosità del cvm, dal momento che il loro medico aveva esposto i risultati delle sue ricerche a un congresso internazionale. Ma solo nel ’74 affrontano il problema, quando inizia a parlarne la stampa e la notizia diventa di pubblico dominio”.

Nel corso delle prossime udienze, da qui fino a dicembre, toccherà a parti civili e difesa esporre le proprie arringhe. Entro l’anno dovrebbe arrivare la sentenza. Una sentenza che molti leggono come il classico scontro di Davide contro Golia. La lotta impari di due anziani operai malati contro il gigante della chimica che ha impregnato di sé quarant’anni di storia dell’intera città.

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