Se si sapeva già tutto, perché non si è fatto nulla? La domanda è solo questa. Individuare i gruppi organizzati che intendevano creare l’inferno, come è già avvenuto in altre occasioni, era possibile, ma nessuno lo ha fatto. I gruppi anarchico insurrezionalisti, Acab e le altre sigle che hanno come unico scopo lo scontro fisico sono noti. Si conoscono i nomi e i cognomi dei componenti e dei capi. Basterebbe perquisire le sedi dove si riuniscono, individuare i capi e gli organizzatori di queste gang di squadristi e metterli in condizioni di non nuocere. Ma nessuno muove un dito.

Scaricare il compito di isolare questi delinquenti sui manifestanti pacifici, è una cialtroneria bella e buona, perché costoro con la politica non hanno niente a che fare. Non si tratta, come alcuni vorrebbero, di criminalizzare ogni espressione di dissenso e di auto organizzazione politica come i centri sociali, che con i violenti, in larga parte, non hanno nulla a che spartire. Siamo di fronte non a una violenza di massa, ma una violenta minoranza organizzata. Non migliaia di persone, ma piccoli manipoli ben organizzati. Possibile che non si riesca a stanare poche centinaia di delinquenti? Se è così, vuol dire che chi ha il compito istituzionale di fare questo deve cambiare rapidamente mestiere. Ma così non è.

La domanda che va posta è dunque perché si è scelto di non agire preventivamente, e lo si è scelto non solo ieri a Roma, ma in decine altre occasioni. Una scelta che non può esser imputata ai soli responsabili dell’ordine pubblico, che si muovono sempre seguendo precise direttive, frutto di altrettanto precise scelte politiche.

Scelte che espongono per primi a un rischio gravissimo i manifestanti pacifici e gli operatori delle forze di Polizia che si trovano in strada. Dico questo anche perché lo sport che si pratica in queste occasioni da parte della destra italiana è quello di impedire ogni critica all’apparato di sicurezza, mettendo davanti i poliziotti che rischiano l’osso del collo. Come se criticare i responsabili dell’ordine pubblico fosse medesima cosa che non dare solidarietà alle donne e agli uomini impegnati sulla strada e che corrono un rischio ben più grave del normale rischio professionale, poiché questo rischio è amplificato ad arte dalla mancata prevenzione a monte. Va detto allora, senza timidezza alcuna, che ci sono persone che hanno una responsabilità diretta nell’amplificazione di questo rischio. Ce l’hanno solo per incapacità? C’è del dolo? Anche queste sono domande che vanno poste.

Trovo infine indecente chi, come la Santanchè, cerca di mettere nello stesso calderone i poliziotti che si sono trovati nell’inferno di ieri, con chi ha deliberatamente massacrato manifestanti inermi alla Diaz e a Bolzaneto, truccando le prove e disonorando la divisa che indossavano, il tutto per fare un’unica banda di gatti bigi nella notte scura. Ma l’Italia è questa, e la democrazia impone di tollerare anche Daniela Santanchè.

Voglio anche dire che non credo alla favola degli infiltrati, degli agenti provocatori. Quello che avviene oggi è cosa diversa rispetto agli anni ‘70. E l’agente provocatore non serve. Oggi basta lasciare fare. Esistono gang criminali che se lasciate indisturbate, appaiono assai più efficaci dei falsi autonomi di Kossiga.

A Roma si è visto qualcosa di assolutamente avulso dal sentire delle migliaia di persone che erano arrivate nella capitale italiana per dire che non ne possono più di questo modello sociale, che non ne possono più di essere una generazione senza lavoro e senza futuro. Ma il frastuono della battaglia ha coperto inesorabilmente la voce di migliaia e migliaia di cittadini che sono ormai allo stremo.

Chi ha pensato e pensa che le loro domande si possano spegnere grazie a un manipolo di delinquenti, si assume una responsabilità gravissima. Una generazione a cui, insieme al resto, viene tolto anche il diritto di protestare, di ribellarsi, di farsi ascoltare, diventa una generazione chiusa, senza vie di scampo, senza una prospettiva di cambiamento all’interno delle regole della democrazia, regole che comprendono anche la protesta di piazza e la lotta politica. Chi vuole ridurre una generazione a cui sono stati tolti gli ideali, ma non ancora le idee, solo a sampietrini e cariche, per non pagare lo scotto delle proprie responsabilità politiche e storiche, se ne assume una ben più grande: consegnare una generazione intera prima al precariato, allo sfruttamento e poi alla rassegnazione e alla violenza. Le conseguenza allora saranno terribili. E lo saranno per tutti.

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