Questa è la storia di un corazziere che ha mollato Roma e ha puntato diritto a sud. Di un giovanottone di 1.85 dalla faccia educata e mite, pallacanestro e pallanuoto giocate a livello agonistico (basket in B1), che un giorno partì da Brindisi per la capitale con l’idea di crearsi un futuro da professionista. L’idea in realtà era stata di papà e mamma, ristoratori di fama sul porto brindisino, che avevano deciso di spedire nella capitale tutti e due i gioielli, figlio e figlia. Per questo Ruben e Nadia (cognome Benigno) si ritrovarono insieme all’università. Lei scienze politiche e poi marketing, lui legge. Lei un trionfo accademico dopo l’altro, lui più impacciato, una fatica insipida e soprattutto “accorgermi a ogni esame, sempre di più, che quella non era la mia strada”. Fino a impantanarsi tra i corsi e gli appelli.

Il fatto è che per Ruben il destino aveva concepito una via diversa al successo. Chiamiamola la via del cuore. Perché a Roma il ragazzo conobbe Sara, una sua coetanea che all’università studiava da fisioterapista, tre anni e poi la specializzazione. Si innamorarono e iniziarono a fantasticare, e poi a progettare, il loro futuro. Finché lui ebbe il guizzo di genio dell’imprenditore. Perché non mettere su insieme uno studio da fisioterapista a Brindisi? A Roma ce ne sono tanti e ben attrezzati, la concorrenza è agguerrita. E giù? Tornò in città e fece, come racconta lui, “un’indagine di mercato”. Ce n’erano pochi, e alcuni avevano attrezzature e macchine antiquate. I genitori diedero la disponibilità ad aiutarlo e Ruben partì per la missione impossibile: aprire un’impresa sanitaria “pulita” nella Puglia dei Tarantini e dei Tedesco.

“Come ho fatto? Prima di tutto bisognava trovare i locali. Ho passato mesi a setacciare Brindisi in auto, a vedere i cartelli di affittasi e a incontrare agenti immobiliari. Tutto il giorno in giro. Poi finalmente ho adocchiato un cartello nel quartiere Santa Chiara. Una casa a pianterreno, con i locali indipendenti, il giardino fuori e senza barriere architettoniche. L’ideale. Non è stato facile, perché i proprietari erano incerti se vendere o affittare; alla fine li ho convinti. E poi ci ho dato dentro. Ora sono sei box, lo studio medico e la palestra. Abbiamo ristrutturato e abbiamo preso le macchine, le onde d’urto, la tecar di ultima generazione per lesioni muscolari, e trovato la collaborazione di altri professionisti. Sara grazie a un mutuo, io con l’aiuto di papà e mamma. Lei ha continuato a lavorare a Roma mentre io qui seguivo tutta la fase di preparazione e organizzazione.

Ma è stato un periodaccio, giuro, spesso veniva la tentazione di rinunciare. Avanti e indietro con gli uffici pubblici, Asl e Comune soprattutto, per le autorizzazioni. E ogni volta spuntava fuori un passaggio nuovo, qualcosa da fare per legge e di cui nessuno mi aveva detto nulla. È andata avanti da ottobre 2010 fino allo scorso maggio. A un certo punto ci ha salvato un funzionario Asl: ci ha visti giovani, un po’ si è intenerito e si è messo a spiegarci passo passo quel che dovevamo fare”.

Così nella tarda primavera è nata la creatura. Ha aperto “Fisiomed”. Sara ci mette la fisioterapia, Ruben ci mette la gestione, l’amministrazione e la promozione. “Che vuol dire promozione? Che me ne vado in giro per medici e farmacisti a spiegare che ora esistiamo anche noi, che servizi offriamo. Che possiamo contare su professionisti che ci aiutano a completare il servizio: un ortopedico, un fisiatra e una o due fisioterapiste, a seconda del bisogno. A volte abbiamo in contemporanea sei pazienti”.

Un successo. “Credo sia stato importante dimostrare da subito che eravamo in grado di offrire un servizio completo. E i clienti non sono solo anziani. Si va dai quattordicenni agli ottantenni, dalle lesioni muscolari all’artrosi. Certo che è un bel lavoro. Provi soddisfazione quando li hai visti entrare con tanti problemi e poi li vedi andar via sorridenti. E magari ripassano da qui a trovarti, a prendere un caffè insieme. Ma non ci siederemo sugli allori, glielo assicuro, noi vogliamo offrire sempre le terapie più aggiornate”.

Il corazziere parla, racconta, e sembra che non si renda conto dell’importanza di quel che ha realizzato con la fidanzata. Un’impresa di successo nel sud devastato dalla disoccupazione giovanile, negli anni della crisi più acuta, e nella sanità pugliese dove – pare – non si muove foglia che Dio non voglia. E insieme la scommessa di una ragazza romana di andare a fondare un’impresa al sud, da cui tutti emigrano per trovare lavoro. “Il nostro sogno è di crescere fino a realizzare un ambulatorio polispecialistico. Se lavorare insieme può logorare il rapporto tra me e Sara? Mah, io dico che il nostro rapporto di coppia è stato fondamentale. Senza, non saremmo mai venuti insieme a Brindisi, io avrei avuto una spinta minore a realizzare l’idea, lei forse non si sarebbe fidata che io stessi qui a preparare tutto con scrupolo”.

E ora che sembra fatta, che consiglio daresti a un tuo coetaneo, Ruben? Il neoimprenditore non ha dubbi. Nello sguardo mite brilla per un attimo la determinazione dell’atleta che ha giocato duro in tutta Italia: “Io gli direi che quando si ha un’idea bisogna crederci fino in fondo. Questo è il segreto. Certo, i genitori. Ma ci sono anche quelli che ai genitori chiedono di comprargli la casa o di trovargli un posto sicuro…”. Il sud, amici, è anche questo.

Il Fatto Quotidiano, 2 ottobre 2011

Articolo Precedente

Reddito minimo di cittadinanza: in Italia no

next
Articolo Successivo

In fuga dalla pubblica amministrazione:
va in pensione il 5,27% in più dei dipendenti

next