C’è chi per ritrovare se stesso si ritira in convento, chi prende lezioni di yoga e chi implora l’intercessione di Tarantini. Per ritrovare se stesso (e già che c’era, anche le sue royalties miliardarie), Paulo Coelho ha attraversato la Russia da Mosca a Vladivostok su un vagone della Transiberiana. E lì nel mezzo della tundra, ciuf-ciuf, ciuf-ciuf, ha incontrato una bella violinista di nome Hilal. Che tanto ha fatto e tanto ha insistito da prendersi lo scompartimento accanto al suo, con relativa porta comunicante.

Alt, fermi tutti: non è andata come pensate voi, coi vostri cervelli rasoterra e il testosterone ipertrofico. Qui non siamo a una cena elegante di Arcore, ma nelle pagine di Aleph, il nuovo romanzo dello scrittore guru brasiliano, che Bompiani lancia con gran pompa in questi giorni. La verità – spiega Coelho in un’intervista a Isabella Bossi Fedrigotti del Corriere – è che lui era convinto di aver già incontrato quella donna. Non però in questa vita: cinquecento anni prima, nella Spagna dell’Inquisizione, dove i due stavano su sponde opposte, Paulo con gli aguzzini, Hilal sul rogo. E allora non si poteva che iniziare insieme «un percorso di espiazione e di perdono» nello scompartimento della Transiberiana. Una sublime esperienza spirituale, da cui è nato Aleph. Coelho dice di averlo scritto sull’onda delle riflessioni fatte durante la spedizione «perché non riusciva a dormire, in quanto il vagone di coda nel quale viaggiavamo sbandava terribilmente». Contala giusta, Paulo! Ben altre erano le sbandate che ti toglievano il sonno…

Comunque sia, il nuovo bestseller di Coelho (l’autore più venduto al mondo dopo Shakespeare) non resterà privo di conseguenze. La faccenda della reincarnazione potrebbe diventare un’ottima linea difensiva nei processi per stupro: «Vostro Onore, lo ammetto: sono saltato addosso a quella cameriera afroamericana, nella suite del Sofitel. Ma mi creda, lì nel bagno ho avuto un’illuminazione extrasensoriale: noi due ci eravamo conosciuti in una vita precedente, tre secoli prima in Luisiana. Lei era una schiava, io un colono francese che la sfruttava. Dovevo pur espiare in qualche modo, e non ho potuto fare a meno di abbracciarla». E il giudice, picchiando con stizza il martelletto : «Imputato, chi crede di coelhonare?».

Saturno, 23 settembre 2011

Articolo Precedente

Alberoni: il tramonto delle banalità

next
Articolo Successivo

Il “Giallo” in festival

next