Emilio Rinaldi, Giorgio Strehler, Valentina Fortunato sul palcoscenico del Piccolo in "El nost Milan", 1955

Sono passati oltre cent’anni da quando andò in scena per la prima volta. Era nel 1893. Ma la trama è sempre attuale: oggi come allora il mondo si divide fra i molti che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e i pochi che detengono il novanta per cento della ricchezza. Insomma, fra “La povera gent” e “I sciori” (pronuncia: sciuri), come si dice su al nord. E come recita il sottotitolo di “El nost Milan”, storica pièce teatrale di Carlo Bertolazzi riportata in scena da Giorgio Strehler negli anni Cinquanta e ripresa oggi a Milano, con molte novità, dal Tieffe Teatro (dal 22 al 25 settembre al Teatro Menotti).

Perché se le disuguaglianze sociali restano, la gente che le subisce cambia. E oggi, a Milano come nel resto d’Italia, gli ultimi sono soprattutto gli immigrati. Gli stessi che compongono buona parte dei 16 musicisti di nove differenti nazionalità che compongono l’Orchestra di Via Padova, l’ensemble musicale le cui note accompagnano i testi di quello che il regista e autore dello spettacolo, Emilio Russo, ha battezzato “Concerto teatrale”.

Milano è la metafora del paese che accoglie, e insieme rifiuta, i nuovi cittadini che la popolano. “Abbiamo cercato di vederla attraverso i loro occhi” spiega Russo “in un viaggio fra strade, storia, culture accompagnate da una colonna sonora d’eccezione”.

Fra un testo di Bertolazzi e uno di Stefano Benni, fra una “profezia” di Pier Paolo Pasolini e una poesia di Giovanni Raboni, si potranno ascoltare classici come “Il ragazzo della via Gluck” di Adriano Celentano, “Il bonzo” di Enzo Jannacci, “Naufragio a Milano” di Paolo Conte, ma anche “Milano” degli Articolo 31 o “Passerella d’addio” di Nino Rota, che facilmente si associa alla Romagna di Federico Fellini, ma che era nato a Milano.

L’Orchestra di via Padova è molto popolare in città, almeno quanto lo è a Roma quella di Piazza Vittorio. Grazie alla sua formazione multietnica ha un repertorio vasto, che abbraccia la musica del mondo intero e che propone anche in questa occasione, spaziando da Bregovic (“Tango”) a Duke Ellington (“Caravan”). Qui per la prima volta affronta però anche canzoni italianissime. Di più: milanesi, alcune addirittura in dialetto. Certo, con un’impronta particolare, come nella versione dell’inno milanese per definizione, “O mia bea Madunina”, di Giovanni D’Anzi, che diventa “Oh my little Madonnina” in uno strampalato quanto improbabile anglo-milanese.

Musica e parole, sullo stesso piano, raccontano una città in continua trasformazione, capace ancora di riservare sorprese, come la vittoria di Giuliano Pisapia alle ultime amministrative. Una città dove “in via Londonio, vicino al Sempione, è nato Gaber. Qualcuno era comunista in Corso di Porta Romana e Veronica al Carcano, in pè”. Una metropoli dove “la pizza la fanno gli egiziani, li ho visti in piazza Martini, e i falafel donna Concetta li spaccia in viale Tunisia”. E la cotoletta? “Dal cinese in via Gustavo Modena”.

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