Durante i riot era come se stessi combattendo per ciò che vuoi, per quello di cui hai bisogno. I riot sono stati un modo per riprendersi ciò che la gente crede gli spetti di diritto”, dichiara uno degli intervistati nel documentario London Riots – Asking the community why this has happened? di Liam White e Joshua Thompson.

Quando giornali e tv di tutto il mondo riportano le rivolte, non sono a Londra, e a distanza cerco di capire cosa stia accadendo: rivoluzione proletaria, collasso del multiculturalismo o semplici atti vandalici? Rientrato a Londra partecipo alla presentazione dell’Hackney Film Festival e in pochi minuti, guardando il lavoro di White e Thompson, comincio a capirci finalmente qualcosa. Il documentario raccoglie testimonianze e reazioni degli abitanti di Clapham, Croydon, Tottenham e Hackney fotografando aree della capitale inglese che in molti crediamo di conoscere ma che in realtà conosciamo poco.

Liam White e Joshua Thompson, cameraman e registi della Progress Film Company, scelgono un approccio più giornalistico che da filmmaker. Invece di cercare conferme alle proprie opinioni, ascoltano e riportano. Dice White: “Solo adottando uno stile simile potevamo permettere alla comunità di esprimersi liberamente senza che ciò che dicessero fosse manipolato”.

Nel filmato si vede un padre di famiglia che se la prende con annunci pubblicitari che alimentano il consumismo, altri che incolpano le famiglie dei ragazzi arrestati, i più che individuano la causa delle rivolte nell’assenza di prospettive lavorative e universitarie per i giovani di quei quartieri.

Man mano che le testimonianze dei residenti si susseguono diviene chiaro che dietro a violenza e distruzioni, si nascondono interrogativi più grandi dei riot stessi, come confida Thompson: “Non giustifico la violenza di quei giorni, e anzi credo che abbia indebolito le posizioni di chi protestava. Ma ora vedo quella violenza come un ‘coperchio che stava per esplodere’, come ha detto un residente. Una comunità condannata all’indifferenza del governo che, stanca di chiedere senza venir ascoltata, dà vita a una protesta che non poteva essere ignorata”.

Ci sono ragioni politiche dietro ai disordini, e la sensazione delle comunità più povere di portar sulle proprie spalle il peso della recessione e dei tagli che ne derivano. Thompson sottolinea che i testimoni “parlano di un governo che sta abbandonando la loro comunità e una parte d’Inghilterra, dell’aumento delle tasse e dell’assenza di lavoro, denunciano discriminazioni razziali e sociali. Senza assolutamente assolvere chi approfitta dei benefit per non lavorare, accusandoli anzi di abusare del sistema e di essere la parte malata della società”.

In ogni caso, non credo che quello che i rioter si sono “ripresi” materialmente con i saccheggi gli spetti di diritto, ma hanno ragione quelli che pensano che di diritto gli spettino le stesse possibilità del resto della città di costruirsi un futuro.

Che si condividano o no le opinioni espresse nel documentario, London Riots fornisce una testimonianza diretta delle cause che hanno prodotto quei disordini, più delle analisi da scrivania. Lasciando a chi lo guarda la possibilità di farsi la propria opinione, o di cambiare idea com’è successo al regista Liam White: “Ingenuamente credevo fossero solo piccoli criminali locali che approfittavano della situazione per assicurarsi un iPhone o l’ultimo modello di scarpe Nike. Poi più li ascoltavo e più emergeva un senso di profonda ingiustizia verso autorità locali e centrali. Le problematiche cui queste persone sono esposte sono più ampie e complesse di quello che si pensa comunemente”.

di Andrea Tancredi, giornalista freelance a Londra

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