Camera - richiesta arresto Milanese Nella foto: Tabellone con risultato del voto

Prima un litigio furibondo a Palazzo Grazioli, nottetempo, durante un vertice di maggioranza convocato sulla giustizia. E dove lui, Giulio Tremonti, aveva ancora una volta preso di petto Berlusconi perché desse il via libera alla nomina del successore di Mario Draghi in Bankitalia, ma non con Saccomanni, come ormai concordato da tempo, ma con il suo amico Grilli. E poi, ieri mattina, la fuga verso Washington, destinazione Fondo Monetario Internazionale, lasciando inaspettatamente la sedia vuota del consiglio dei ministri e, poco dopo, quella di Montecitorio dove si votata la sorte del suo delfino, Marco Milanese. “Un comportamento isterico, incomprensibile”, commentavano ieri i colleghi pidiellini in Transatlantico poco prima che lo stesso Milanese, ormai salvo dai ceppi, se ne uscisse con un giudizio di merito davvero pesante sull’ex dante causa: “Sono nauseato dalla sua assenza”. Più tardi ha smentito di averlo detto, ma sono stati in parecchi ad aver raccolto il suo sfogo. Condividendolo in pieno.

Il problema Tremonti, dunque, si fa ancora più profondo all’interno del governo e della maggioranza. Il ministro dell’Economia, conscio dell’impossibilità di Berlusconi di sostituirlo perché sarebbe un pessimo segnale per i mercati, alza il tiro su tutto, in particolare su quello che in questo momento sembra premergli di più; la nomina di un suo uomo in Banca d’Italia. Berlusconi, in pieno agosto, aveva già concordato con Draghi e con il Quirinale l’esigenza di proseguire con una nomina “interna” all’istituto di via Veneto, un segno di continuità a solidità dell’istituzione che certamente avrebbe giovato anche all’immagine verso l’esterno. Tremonti, in un primo momento, sembrava essersi piegato, ma subito dopo l’approvazione della manovra i suoi appetiti si sono rinvigoriti fino al punto – ieri – di sfiorare una nuova rottura con Berlusconi pur di imporre il suo uomo. Un atteggiamento che già l’altra sera aveva creato profondo malumore nei vertici del Pdl riuniti in conclave per soppesare il voto su Milanese, ma che hanno raggiunto l’apice della rabbia ieri mattina, a palazzo Chigi, nel consiglio dei ministri che aveva all’ordine del giorno la presentazione della nota d’aggiornamento del Def (Documento di programmazione economica e finanziaria).

Tremonti, il ministro che avrebbe dovuto illustrare le modifiche, non c’era. Giancarlo Galan, a quel punto, è sbottato: “E’ sempre la solita storia- commentava nervoso il titolare della Cultura – oggi abbiamo approvato un tomo enorme, senza che nessuno l’abbia illustrato. Tremonti non si è presentato e ci ha lasciato una scatola chiusa da votare. Una cosa però è cambiata: ora i ministri non sono più disposti a stare zitti e parlano. Oggi, eravamo… diciamo ‘infastiditi'”.

Alla Camera, poche ore più tardi, è stato anche peggio. Sul voto per Milanese sono stati in parecchi a non perdonare il ministro di non averci messo la faccia. “Se il premier chiama tutti a una sorta di ribellione contro lo stato di polizia – ecco la valutazione di una delle deputate più vicine a Berlusconi – perché lui si sottrae alla pugna? Poteva benissimo partire più tardi”, “E’ un comportamento immorale. Dà l’idea del tipo di persona che è”, sentenziava senza appello un rampollo pidiellino di stretta osservanza larussiana. Perfino il sottosegretario Daniela Santanchè, ieri in abito rosa polvere, non si è trattenuta: “E’ davvero un’assenza vergognosa”. Il presidente Berlusconi ha glissato, ma si è capito che il sassolino nella scarpa gli duole e teme che gli farà ancora più male con il passar del tempo: “Tremonti? Fatemi un’altra domanda”.

Insomma, un malumore diffuso e tanto trasversale da convincere uno come Giancarlo Lehner a mollare gli ormeggi della buona creanza e a sintetizzare così: “Muli, bardotti e cavalli della maggioranza, tutti presenti in aula, hanno tirato la carretta. L’unico assente è risultato un robusto somaro eticopolitico, chiamato Giulio Tremonti”. C’è chi, però, va oltre le parole e pensa a qualcosa di concreto, spostando l’indignazione dal piano dell’antipatia personale a quello della politica. Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa e nemico giurato di Tremonti medita di sfilare il decreto sviluppo dalle mani del ministro. Come? “Si sta per aprire la partita della crescita e qui pare proprio che non si sappia che pesci prendere; considerata la totale assenza di idee e la mancanza di ogni dialogo con il Paese reale da parte del ministro e del ministero dell’Economia- ecco la spiegazione – penso sia opportuno un tavolo immediato e permanente a palazzo Chigi tra chi può portare idee e proposte e chi deve fare sintesi. Ed altrettanto importante è che il Pdl a quel tavolo, porti sue proposte”.

Il clima, insomma, ribolle. E stavolta potrebbe esserci più di un intoppo quando si andrà a parlare nuovamente di pensioni. La leggenda narra di un accordo, siglato a fine estate tra Bossi e Tremonti a Monza nelle stanze dei ministeri fantasma, che avrebbe visto la salvezza della testa di Milanese da parte della Lega (come è avvenuto) in cambio dell’assoluta salvaguardia del capitolo pensioni anche quando il governo dovrà affrontare la nuova manovra da 30 miliardi (metà ottobre e si vedrà). Molti, nel Pdl, ricordano l’avvenimento e non hanno alcuna intenzione di restare in silenzio seppur nella rassegnazione che esprime sempre Lehner: “Cosa volete che succeda, la situazione di crisi economica è tale che cambiare il ministro dell’Economia sarebbe un trauma troppo grosso per il governo”.

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