Immaginiamo la futura casa-museo di Niccolò Ammaniti: un iPad con attaccate delle grandi cuffie colorate e una custodia di pelle consumata, un computer portatile Apple, per esempio i primi iBook, sotto una teca di cristallo insieme al floppy-disk con sopra scritto a mano Fango – prima stesura. Come effetto sonoro in filodiffusione farebbe la sua porca figura anche una stampante ad aghi usata per sfornare le bozze dei primi racconti cannibali. Non potrebbe mancare un video dove passano foto private fatte con l’iPhone, applicazione Instagram, che consente risultati stile vecchia Kodak e va molto. Il quadro generazionale regge? Tornando indietro un secolo prendiamo la famosa foto di Montanelli seduto sopra una pila di libri con la macchina da scrivere sulle ginocchia. La macchina da scrivere meccanica più di ogni altro dettaglio caratterizza l’epoca ed è l’elemento originale dell’immagine, il feticcio fotogenico perfetto.

Ricordo, per contrasto, un ritratto a colori di Giorgio Bocca anni ’80 con un’enorme macchina da scrivere elettrica ma non credo sia rimasto impresso a molti. Alberto Arbasino la macchina da scrivere elettrica la usa ancora; e il fax. Tutto molto anni ’80 e inadatto a iconizzarsi e museizzarsi: “Cosa resterà/ di questi anni ’80?” cantava Raf… Di sicuro non gli oggetti, il design industriale: le orribili Fiat Ritmo della nostra giovinezza – che però si potevano guidare sbronzissimi nell’era pre-palloncino salvo morire in una tipica “strage del sabato sera”- o le Uno bianche passate tristemente alla cronaca nera grazie ai fratelli Savi, o appunto le macchine da scrivere elettriche, esangui eredi di quelle meccaniche. Negli anni ’90 sono arrivati in massa i computer, scatole di plastica che si cambiano e buttano senza alcun rimpianto e forse per quello li fanno così brutti, per invogliarti a cambiarli spesso. Il successo di Apple sta invece nell’aver intercettato il bisogno generazionale di oggetti da amare e poi collezionare, non solo per il presente ma per una sorta di nostalgia preventiva, di nostalgia del futuro: il bisogno di concretezza della generazione virtuale. Se si è creato un attaccamento all’oggetto digitale – il cui sintomo è il collezionismo, il mercato dell’usato – è solo con il Nuovo Millennio.

Gli anni ’80, esteticamente improponibili, sono stati saltati diversamente che nella musica e sono passati eccome. Quello che contraddistingue gli ultimi tempi è la tecnologia digitale ed è sorto dunque il bisogno di personalizzare il personal computer che è quanto di più impersonale. Tutto è iniziato con gli Apple portatili, i primi iBook, quelli che sembravano un giocattolo (o l’asse del cesso), sempre molta plastica d’accordo, ma bianca e con un po’ di morbida gomma colorata, una forte personalità e addirittura la maniglia. Non a caso è l’unico computer che ho – come credo molti altri – conservato. Su Youtube il video di Steve Jobs ancora in carne che li presenta nel ’99 ripetendo il mantra “beautiful” ha totalizzato quasi 500mila visite con commenti come: “Aggiornateli e fateli tornare!” E non a caso ci sono video tutorial che insegnano come adattarli agli usi contemporanei, con pochi accorgimenti o magari mettendoci dentro l’anima di un portatile nuovo. I più recenti iBook in metallo – come le macchine da scrivere meccaniche – in futuro potrebbero subire la stessa sorte. Magari essere tramandati da una generazione all’altra, conservati per sempre, almeno il “clamshell”, il guscio. Del resto sugli iPod si   può incidere una dedica. Un iPod è per sempre?

La retromania digitale, che risponde a un bisogno generazionale di concretezza, calore e attaccamento in un mondo sempre più fluttuante, trova espressione non solo in queste forme di collezionismo, ma anche nella già citata applicazione per iPhone Instagram. Le foto virtuali non invecchiano? Non si stampano? Al massimo vanno su Facebook o in un portafoto digitale? E allora ecco lo strumento per invecchiarle, seppiarle, dargli una patina “calda” che prende piede nella prima generazione che scatta e autoscatta ovunque ma deve convivere col dubbio che tutti i ricordi visivi immagazzinati potrebbero scomparire per un virus o il furto del telefonino o del computer.

Una nevrosi da leggere nel più ampio complesso generazionale di essere inconsistenti, evanescenti, di non imprimere tracce di sé nel mondo, tantomeno figli, di passare sulla terra senza lasciare impronte. Ci sono anche applicazioni come 8mm per fare i video, sempre col telefono, nello stile dei primi filmini familiari. E in questo senso vanno anche forse i manifesti vintage che usano la grafica dei vecchi manifesti di propaganda americani o inglesi taroccando gli slogan governativi: “Mantenete la calma e andate avanti”, pensato in periodo bellico dal governo britannico, diventa “Mantenete la calma e andate avanti a bloggare”; al classico “State su col morale in tempo di guerra” si aggiunge “… e guardate i cartoni animati su Youtube”. C’è un grafico del Massachusetts, Aaron Wood, specializzato nel mischiare poster di propaganda e mondo digitale (in particolare i social media, Facebook, Twitter) e si possono ordinare dal sito per attaccarli alle pareti (costo otto dollari, circa sei euro), perfetti per le case della de-generazione digitale nel loro contrasto tra nuovo e modernariato, tra messaggio virtuale e grafica vintage. Parafrasando Platonov: dal villaggio globale in memoria del futuro.

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