Il 2 febbraio 1993 il presidente della Fiat, Giovanni Agnelli, detto Gianni e detto l’Avvocato, ebbe una furente telefonata con l’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato. E’ il punto più caldo del terzo capitolo di “Il libro nero dell’Alta velocità”. Il tema della conversazione non era l’industria dell’auto, ma al contrario il progetto dell’Alta velocità ferroviaria. La Fiat dopo decenni di sabotaggio palese e occulto al trasporto su ferro, la cui motivazione può risultare intuitiva, ha scoperto che con l’Alta velocità può fare un sacco di soldi. E’ l’epoca delle cosiddette “diversificazioni” pilotate da Cesare Romiti. Il colosso torinese, attraverso la Cogefar-Impresit, che in seguito confluirà nell’Impregilo, è diventato il principale attore del mercato delle costruzioni. E ha ottenuto, nella grande spartizione orchestrata dal numero uno delle Fs Lorenzo Necci, l’affidamento a trattativa privata delle tratte Bologna-Firenze e Milano-Torino.

Con la stagione di Mani pulite il clima cambia. Si estende in Parlamento il partito dei perplessi, capitanato dal ministro del Bilancio Beniamino Andreatta. Sotto pressione, il governo fa una mossa a sopresa: stabilisce che la Milano-Torino sarà assegnata attraverso una gara internazionale. Per la Fiat significa veder sfumare un affare allora di 3 mila miliardi di lire. La tratta costerà alla fine l’equivalente di 16 mila miliardi di lire.

Scrive Cicconi: “Il ministro del Bilancio, il 3 marzo 1993, a pochi giorni dal suo insediamento, convoca i ministri con competenza sul contratto di programma di FS e con firma sua e quella dei ministri dei Trasporti Tesini e del Tesoro Barucci delibera l’affidamento di un incarico alla società di revisione internazionale “Coopers & Lybrand” per la verifica sui costi e la costruzione finanziaria di quel Progetto; con la stessa delibera ne viene decisa la trasmissione al Consiglio di Stato e all’Autorità per la concorrenza, con la richiesta di parere sulla legittimità dei contratti stipulati dalle FS e da TAV. Era un colpo micidiale per l’affare del secolo ma, in un paese affetto dal vizio della memoria, nulla può essere dato per scontato”.

Poco dopo cadrà il governo Amato e nascerà il governo Ciampi. A sorpresa Andreatta viene promosso agli Esteri e quindi cacciato dal Bilancio, dicastero strategico per controllare il business dell’Alta Velocità, che viene assegnato all’economista Luigi Spaventa, nominalmente in quota Pds, ma con la nomea di “Pomicino-Boy”, nota Cicconi. Che ricorda anche come gli altri ministri indicati dalla sinistra si dimisero poche ore dopo la nascita del governo, il 29 aprile 1993, in seguito al voto parlamentare contro l’autorizzazione a procedere per Bettino Craxi. Spaventa no. E il grande business riprese con slancio.

Articolo Precedente

Il libro nero della Tav di Ivan Cicconi
Capitolo 2: Luigi Preti e la grande truffa

next
Articolo Successivo

Il libro nero dell’alta velocità
Capitolo 4 – La vera storia della Tav

next