Ci sono i reati e ci sono le aggravanti; l’omicidio è punito con la prigione non inferiore ad anni 21; se lo si fa per motivi abbietti c’è l’ergastolo. Mandare a put… l’Italia non è reato (ma dovrebbe esserlo); se lo fai prendendo i cittadini per il c…, questa sarebbe un’aggravante. Fuor di metafora, la manovra costruita per salvare il paese contiene misure inefficaci e afflittive solamente per i poveri cristi. Dove prevede qualcosa di buono e giusto, è già pronta la retromarcia o l’escamotage per non cambiare niente: sia mai che perdiamo le prossime elezioni (copyright Crosetto e altri C; la rovina dell’Italia non è un problema ma la poltrona sì). Ecco due esempi.

Debbo il primo a Fortunato Laudendi (www.lagazzettadeglientilocali.it). Come tutti sanno, le Province sono enti inutili e costosi: sistemazione di politici, amici, clienti e parenti di politici; ghiotte occasioni di affari illeciti. Perciò si propone la loro eliminazione da una vita. Ora che non c’è una lira, B&C si erano decisi: aboliamole. Per carità, ci va tempo, ci va una legge costituzionale (vero) ma lo faremo; giuriamo che lo faremo. Solo che il presidente della Provincia di Treviso e presidente dell’Unione delle province del Veneto, Leonardo Muraro, nel corso di un convegno cui partecipavano Tremonti e Bossi, ha spiegato che, al posto delle Province ci saranno “enti d’area vasta” con un presidente a elezione diretta e un consiglio composto da rappresentanti della regione di appartenenza e dai sindaci dei comuni compresi nel nuovo ente. Calderoli è d’accordo: “Ci sarà un ente intermedio tra Regione e Comune”. Insomma, quello che B&C aboliscono è il nome di Provincia; per il resto, soldi, poltrone, clientelismi e affarucci vari resteranno al loro posto.

Secondo esempio. B&C hanno detto ai cittadini che non solo loro sono chiamati a grandi sacrifici per il salvataggio del paese. Anche la politica contribuirà: tagliando gli enti inutili (come si è visto); e decurtando i redditi dei suoi adepti. E infatti l’originario art. 13 comma 2 della manovra diceva: l’indennità parlamentare (5.486 euro mensili più diaria e rimborsi spese – che non sono toccati – per altri 7.193 euro) è ridotta del 50 per cento per i parlamentari che svolgano qualsiasi attività lavorativa per la quale sia percepito un reddito uguale o superiore al 15 per cento dell’indennità medesima. Insomma, qualche parlamentare avrebbe rinunciato a 2.743 euro al mese. Adesso però c’è un art. 13 tutto nuovo (emendamento del governo): la riduzione dell’indennità… si applica in misura del 20 per cento per la parte (di reddito derivante da attività lavorativa) eccedente i 90 mila euro e fino a 150 mila euro, in misura del 40 per cento per la parte eccedente i 150 mila euro. Insomma da una riduzione misera si passa – secondo i casi – a nessuna riduzione, a riduzione miserrima, a riduzione inferiore (40% e non 50%) a quella originariamente prevista. Il tutto in via provvisoria perché (questa è un’altra perla), dopo il 2013, non ci sarà nessuna riduzione. Insomma, questa gente pagherà, in media e mal contati, 30 mila euro per uno in 2 anni e poi tanti saluti. Eccoli i “tagli ai costi della politica”.

Adesso: la presa per il c…, termine che pare essere stato sdoganato da B., funzionerà solo per gli italiani o anche per la Ue? E, se gli altri paesi non ci cascheranno, i soldi ce li daranno lo stesso? Se non in prigione (ma B. e qualche altro magari ci finiranno lo stesso) li mandiamo almeno in esilio?

Il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2011

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