Ricevo e volentieri pubblico qui di seguito la risposta del senatore Carlo Giovanardi a un mio recente post.

Scrive Giovanardi:

Se il Prof. Antonio Nicita avesse avuto l’occasione di ascoltare tutta la mia intervista a Radio Radicale e non solo la parte finale, non si sarebbe avventurato in argomentazioni che nulla hanno a che fare con la realtà.

Di orfanotrofi infatti ne ho visitati nel Burkina Faso, in Cambogia, in Russia come Presidente della commissione delle adozioni internazionali che si vanta di aver lavorato per fare del’Italia un Paese che adotta all’estero più di 4000 bambini all’anno, seconda nel mondo solo agli Stati Uniti che però hanno 280 milioni di abitanti.

Bambini e famiglie che abbiamo riuniti in bellissimi incontri conviviali dove i governanti dei loro paesi hanno potuto toccare con mano le cure amorevoli che ricevono nel Paese di accoglienza.

Detto questo è evidente a tutti e lo ripeto che una vera politica di integrazione di questi bambini e più in generale degli extracomunitari sarà possibile soltanto se nel frattempo non scompariranno gli italiani e il patrimonio di cultura, civiltà, radici cristiane, di rispetto e difesa dei principi costituzionali, solidarietà, rispetto per le donne, che ci contraddistinguono.

Se Nicita è indifferente all’idea di un’Italia dove gli italiani saranno in pochi decenni una minoranza della popolazione, sottovaluta evidentemente il fatto che se gli altri, come auspico dovranno diventare uguali a noi, questo sarà possibile soltanto se non commetteremo i tragici errori di paesi dove i contrasti etnici e razziali hanno provocato lo stravolgimento della convivenza civile.

Sen. Carlo Giovanardi

Ringrazio innanzitutto per l’attenzione il senatore Carlo Giovanardi e per la voglia che ha dimostrato di volersi confrontare su questi temi.

Ho scritto di aver ascoltato solo la parte finale del suo discorso (potete farlo anche voi qui), ma la contrapposizione tra ‘extra-comunitari’ e ‘veri italiani’, viene ribadita dal senatore, con toni diversi, anche nella sua replica.

Continuare ad usare il termine ‘extra-comunitari’ è a mio parere offensivo della dignità delle persone migranti. Non lo dico (solo) io. Lo ha detto, qualche giorno fa, il procuratore della Repubblica di Savona Francantonio Granero, il quale ha chiesto a tutti i dipendenti degli uffici di polizia giudiziaria e alle forze dell’ordine di non utilizzare più il termine ‘extracomunitario. Infatti, secondo il procuratore, quel termine ha assunto un’accezione negativa. Nei propri rapporti la polizia dovrà utilizzare altri termini, come ‘cittadino straniero’ o ‘persona migrante’. Cittadino o persona sono termini che ‘ci assomigliano’ e che servono a non classificare automaticamente le persone sulla base del paese nel quale sono nati o del colore della pelle. Extra-comunitario era una volta un termine riferito alla Comunità europea, ma ha finito per rappresentare qualcuno che sarà sempre ‘fuori’ dalla ‘nostra’ comunità. Un confine insuperabile tra “noi” e “quelli”. Già, nel 2005 la Suprema Corte (sentenza 20.05.2005 n° 19378), ha condannato l’uso del termine “marocchino”, in quanto “l’appellativo indicante la provenienza di un soggetto in senso dispregiativo e con tono di scherno, denota un intento di discriminazione razziale e dunque integra gli estremi della fattispecie delittuosa prevista dall’articolo 594 c.p.”. A mio avviso vale lo stesso per il termine ‘extra-comunitario’, oggi automaticamente affibiato a chi ha la pelle scura.

Una vera integrazione civile e culturale non può mai essere a senso unico. Io credo che in un paese civile nessuno “debba diventare uguale a qualcun altro”. Le culture crescono e cambiano, facendo convivere identità e diversità in un comune sentire. Quello che siamo oggi, nel 150° dell’unità d’Italia, è il risultato non di un’immobile tradizione culturale, ma di passati e continui processi di mutamento e di contaminazione. L’Italia è sempre stata questo. Possiamo ‘solo’ assomigliarci in una nuova, arricchita italianità, dove tutti siamo diversi, ma uniti da un sentire culturale e civile comune. Credo sia meglio guardare agli Usa e persino alla Francia. L’uguaglianza non consiste nell’assimilazione unidirezionale, ma nel comune rispetto della diversità, nella comune cittadinanza.

Se non ci abituiamo a considerare come ‘persona’ e ‘cittadino’ chi è nato in altri paesi, non possiamo nemmeno promettere a bambini nati altrove e adottati in Italia un futuro senza sospetti, senza pregiudizi, senza distanze, senza insidie. Per questo oggi, in Italia, io genitore di bimbi afro-italiani mi sono trovato costretto – nel mio piccolo blog – a difendere la mia famiglia italiana non da ciò che è diverso da noi, ma da ciò che pretenda da noi l’essergli uguale. Io amo pensare che il futuro dell’’italianità’ sia fatto di diversità e di cittadinanza. Insieme. Perché solo così quell’italianità non scomparirà. Solo così essa avrà un futuro.

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