Il nostro modo di vivere può starci anche bene. E allora, chissenefrega dell’impronta ecologica dell’Italia, chissenefrega del consumo di territorio, chissenefrega degli allevamenti di animali. Ci può star bene così. Anzi, alla stragrande maggioranza degli italiani sta bene così. Per favore, allora questa stragrande maggioranza non legga il mio post.

Ma se invece questo nostro sistema di vita non vi sta bene per niente, allora subentra un fattore molto delicato: il nostro grado di coerenza per far sì, nel nostro piccolo, che il nostro mondo cambi. Nel segno della rivoluzione che comincia da noi. Ecco, questa che vi racconto è una piccola storia di una grande coerenza.

È un’assolata ma ventosa giornata d’agosto. Sono in auto con Beppe Marasso (storico appartenente al movimento nonviolento piemontese) e ci stiamo dirigendo dalla sua Cascina Mattarello, a Neive, Bassa Langa, verso Bossolasco, Alta Langa. Beppe mi fa fare un giro panoramico (tanto guido io…), ma gliene sono grato. Passiamo dalla Bassa Langa, coperta di vigneti, all’Alta Langa, verdescurata dai boschi e radi noccioleti. Indietro la pianura piemontese fino alle nevi non più eterne del Rosa, con una Torino che persino distingui perché il vento ha momentaneamente spazzato via la grigia cappa dell’inquinamento.

Durante il viaggio, Beppe mi racconta dei Ricchiardi. Di come Giovanni, benestante, si liberò di pressoché tutti gli alloggi lasciatigli in eredità dal padre, per entrare con Graziella – con cui condivideva un progetto di vita – nell’Arca di Lanza del Vasto. Di come si trasferirono, sempre in comunità, dai dintorni di Torino, in Francia, poi in Salento e adesso qui, da soli, a Bossolasco. Di come essi rappresentino un po’ l’ala più “estrema” dei pacifisti di queste lande, ma anche di tutto il Piemonte. E, chissà, forse oltre.

Mentre Beppe parla sorpassiamo Bossolasco, ed ecco che ad una sua indicazione imbocchiamo una ripida stradina sterrata che ci porta sull’aia di una casa abitata da austriaci (non stupitevi, il mondo tedesco apprezza le Langhe molto più di chi vi abita). Ci dicono di salutargli Giovanni e Graziella e ci inoltriamo sul sentiero che mena a casa loro con una cassetta di frutta e verdura.

La casa compare all’improvviso. Una casa in pietra di Langa, grande ma senza antenne, senza fili esterni di nessun tipo. Diversa dalle altre case. Giovanni e Graziella ci vengono  incontro felici. A me stringono la mano. Giovanni è alto e magro, con profondi occhi azzurri. Graziella più bassa e rotondetta. Balòta, il loro cane, mi salta addosso e sta lì, aspettando non so cosa. E’ mezzogiorno e mezzo, l’ora del pranzo. Saliamo in cucina, e, dopo la loro preghiera, si comincia con tagliatelle di farina integrale fatte in casa con sugo di pomodori. Giovanni parla del pannello solare che gli consente di avere energia elettrica sufficiente per la lampadina di cucina e per il filo dissuasivo per gli animali, due pecore, che producono il buon latte col quale fanno i formaggi. Il problema è l’acqua. Solo 100 litri al mese, attualmente (il mio pensiero vola:Ma quanti litri d’acqua faccio andare io per una doccia al giorno?). Ma sopperirà la cisterna che Giovanni sta realizzando e che raccoglierà l’acqua piovana che scorre dalla grondaia. Poi, ovviamente, basta sperare che piova…

Mentre il pranzo avanza e il vino autoprodotto da 13,5° fa il suo effetto, mi permetto di chiedere qualcosa anch’io: “Parlate tanto delle vostre amicizie, ma sono persone anziane. C’è qualche giovane che viene o ritorna alla campagna?” Giovanni e Graziella hanno tre figli, ma non hanno seguito le loro orme, in compenso qualche coppia giovane che arriva lì attorno, sì, c’è. Si accontentano di poco i nuovi venuti, si accontentano di non pesare sulla Terra.

A proposito di terra, questa è quella di Pavese e Fenoglio: “Vi piacciono?”. Mi aspetterei un sì entusiasta, e invece no. Sono troppo tristi i loro libri, la Langa non è così, o per lo meno non è solo così, o per lo meno non lo è per loro. C’è voglia di vita, c’è legame fra uomo e terra. Ma la terra qui dai Ricchiardi è arida. Un grande noce che fa ombra a un tavolo davanti a casa, qualche zucca, ma impensabile fare l’orto con la poca acqua a disposizione, ed ecco allora il baratto. Loro fanno formaggi e li scambiano con verdure e altro alla bisogna: a Beppe daranno una toma per la verdura e la frutta che gli ha portato oggi. E poi fanno il mercato ad Asti e a Torino. Qui alla quarta domenica di ogni mese, nella Piazza Palazzo di Città, davanti al Municipio, dove portano i formaggi, sì, ma anche i prodotti di trasformazione delle erbe spontanee, tipo l’elicriso o le marmellate di rosa canina. Si illuminano parlando dei mercati e della bella atmosfera che li pervade. Concordo e ci diamo appuntamento lì.

Si parla e si gustano i piatti fino ad arrivare a una conclusiva, splendida macedonia di ciliegie selvatiche, pere e pesche. Il caffè è l’unica concessione all’alterità.

Ci guardiamo con Beppe. E’ ora di andare. Scendiamo. Nell’aia, Balòta mi salta addosso e sta lì, aspettando non so cosa. Giovanni e Graziella mi abbracciano. Sembrano una sola persona. Posso dire: “Che bello”?

Mentre torniamo indietro in auto, sotto il cielo sempre terso, mi viene da pensare a una vecchia canzone del grande Giorgio Gaber: “Un’idea, un concetto, un’idea, finché resta un’idea è soltanto un’astrazione. Se potessi mangiare un’idea, avrei fatto la mia rivoluzione.”

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