Questo weekend sono stato, insieme a molti altri amici del fattoquotidiano.it, al parco della Versiliana, per la festa annuale di settembre.

Oltre all’affetto delle persone, alle critiche costruttive, agli scambi di opinioni, c’è una cosa che mi ha colpito più di tutte: la diffusa consapevolezza della necessità di una svolta culturale. Forse per deformazione professionale, forse per una sbagliata percezione personale, sono stato per lungo tempo convinto che la “svolta” etica fosse un compito della Magistratura (o, meglio, della sua parte “sana”), cui la società avrebbe prima o poi risposto positivamente. Del resto, l’esperienza di “Mani pulite” ci ha lanciato un messaggio importante in questo senso (e certamente ha avuto i suoi ottimi risultati).

Da tempo – da quando cioè ho iniziato a parlare pubblicamente dei problemi della giustizia in occasione di convegni, interviste, articoli – mi sono convinto che ciò non basta. La soluzione alla crisi di valori del nostro Paese non può che nascere, ancor prima che dalla sede giudiziaria, da un cambiamento culturale: la magistratura deve certamente assicurare una repressione dei comportamenti più gravi (magari con l’assoluta certezza della pena, oggi purtroppo limitata da una normativa che non si sforza abbastanza per rendere più efficiente la Giustizia), soprattutto per costringere la collettività a confrontarsi con un reale meccanismo deterrente.  Ma la soluzione non può essere solo giuridica, perché ormai il problema è prevalentemente culturale: basta vedere quali sono i “modelli” che oggi ci vengono offerti per capire quanto sia profonda la crisi di valori che attanaglia il nostro Paese.

È necessario perciò mostrare ai più giovani (e ricordarlo alle generazioni meno giovani, spesso assuefatte dal malcostume diffuso) che l’indipendenza, la libertà, l’onestà sono valori prioritari e condivisi. Per ottenere un reale cambiamento culturale è però a mio avviso anche necessario che questi meriti siano riconosciuti pubblicamente: l’esempio vale molto più delle parole.

In altri termini, se crea danni enormi vedere che la politica è in grado di cacciare i giornalisti dissenzienti con la linea della maggioranza, o vedere che nel lavoro è premiato sempre di più chi si assoggetta alle logiche dei favori personali o di cricche di potere, occorre che anche noi – e tutti noi – prendiamo il coraggio di “non dare forza” a chi queste logiche malsane le governa e di riconoscere il giusto merito a tutti coloro che questo sistema ha cercato (in parte riuscendoci) di far apparire come perdenti, azzerandone le carriere, diminuendone i compensi, delegittimandoli in ogni modo.

Ecco … alla festa de “ilfattoquotidiano” ho visto che tutto questo è già realtà.

Basti pensare a De Magistris (costretto a fuggire dalla magistratura, e atteso da tutti come l’esempio di Giudice), a Santoro (costretto ad andarsene dalla Rai e che tutti attendevano con ansia di ascoltare), a Vauro (le cui vignette in mostra sono divenute un oggetto di culto), e, soprattutto, ai molti “meno noti”.

Questi sono solo alcuni esempi del riconoscimento sociale che il Fatto Quotidiano è stato in grado veicolare – valorizzandone il pensiero, le idee e l’onestà – nei confronti di coloro che, per la loro indipendenza e libertà, sono stati schiacciati dal “sistema”: il Fatto Quotidiano è ormai un fenomeno culturale cui aderiscono sempre più intellettuali e di cui le persone “come noi” riconoscono sempre più l’eccezionalità e l’importanza.

Son contento di poterlo scrivere proprio qui!

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