Una storia che sembra destinata a non aver fine. E ad alimentare altre e nuove polemiche in una città, Parma, che dell’antifascismo – fu tra le poche, nel ’22, a resistere alle camicie nere con le celebri barricate in Oltretorrente – ha fatto quasi un marchio proprio di cui andar giustamente e pubblicamente fiera.

Smontata dal cimitero della Villetta da un giovane lo scorso 2 giugno, rieccola a far capolino nuovamente, la lapide della discordia dedicata ai caduti di Salò, coloro che scelsero in nome di una presunta fedeltà la dittatura e il sostegno a oltranza al giogo del nazifascismo. Dopo il plateale gesto di “disobbedienza civile” di qualche mese fa, infatti, il cippo – fino ad oggi consegnato ufficialmente al restauro – è tornato infatti al suo posto: chi pensava di non rivederla più, insomma, ha dovuto ricredersi visto che una volta riparata, la lastra marmorea  è stata prontamente ricollocata dov’era.

Altro che marcia indietro o ravvedimento, anche postumo, da parte dell’Amministrazione: risolti infatti i problemi più urgenti, leggi la formalizzazione della nuova squadra di giunta, uno tra i primi atti concreti del nuovo esecutivo è proprio questo: rimettere la lapide che ricorda quanti caddero per la “repubblica” (quella di Salò, ndr) al suo posto  d’origine, in bella vista nel cimitero cittadino, dove, solo per fare qualche nome, è tumulato tra gli altri un uomo che allo Stato, quello democratico sorto dalla ceneri del fascismo, ha sacrificato la propria vita, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Posata, e successivamente scoperta, in occasione della festa della Repubblica il 2 giugno alla presenza dell’assessore Davide Mora, che nell’occasione ebbe modo persino di puntualizzare di esser “venuto a titolo personale”, pur in posizione leggermente defilata trova in ogni caso collocazione nel padiglione dei caduti che hanno vestito la divisa. Curiosità: forse per scoraggiare altri gesti da parte di “disobbedienti” o antifascisti, adesso è stata posizionata più in alto rispetto a quanto non fosse prima.

Ma c’è di più: tanto per non far mancare un po’ di pepe, anche se forse sarebbe il caso di definirla benzina gettata fin troppo incautamente sul fuoco, è stata aggiunta una sottotarga, della medesima fattura – stesso marmo e stesso colore – che recita così: “Nel 150esimo dell’Unità d’Italia l’associazione nazionale famiglie caduti e dispersi della Rsi pose”. Come a sottolineare, a distanza di ormai tre quarti secolo, la fierezza per una scelta mai rinnegata anche se condannata ampiamente dalla Storia e, forse persino più grave, il tentativo di costruire un filo comune con le vicende risorgimentali che portarono all’unificazione dell’Italia moderna.

Un gesto che ha sortito l’effetto della classica goccia che fa traboccare in un vaso ormai colmo. La replica di Gabriella Manelli, presidente ANPI, non è tardata infatti ad arrivare. “Ormai quest’Amministrazione – commenta, amareggiata – ha chiaramente due volti. In giugno, subito dopo la prima affissione della lapide, il sindaco Pietro Vignali mi chiamò proponendomi l’eliminazione della targa e la sua sostituzione con una stele dedicata alle vittime di tutte le guerre. Trascorsi luglio e agosto ecco la sorpresa: la pietra della discordia è rispuntata, con il sindaco che nel frattempo, anche per le note vicende d palazzo, si è  sempre fatto negare”.

Un clima generale che proprio nella giornata dell’8 settembre, rischia di farsi ancor più rovente: le recenti esternazioni, sfociate in cortei e persino scontri con le forze dell’ordine in occasione del “Giro della Padania”, competizione ciclistica in corso nel Ducato, stanno a testimoniare un clima di tensione generale in aumento.

(fr.ni.)

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