L’altro ieri, mi sono imbattuto, su Radio Radicale, in un pezzo conclusivo di Giovanardi alla festa di Mirabello. Carlo Giovanardi è sottosegretario con delega alle Politiche della Famiglia e presidente della Commissione per le adozioni internazionali.  Il dibattito era alla fine e il sottosegretario concludeva più o meno cosi: tra qualche anno succederà il disastro, gli immigrati saranno la maggioranza a Milano e gli italiani in minoranza. E bisogna affrettarsi per prevenirlo, sennò succede come a Londra. E per far questo occorre una politica di incentivi alla natalità, degli italiani. Inutile ricordargli quanto PIL producano gli immigrati. Non lo sa, non gli interessa, non lo capisce.

Ora, pensare che al crescere degli immigrati, ci saranno meno italiani equivale a credere che gli immigrati e i loro figli, persino quelli nati in Italia, non potranno mai essere considerati italiani. In realtà l’immigrazione, nel tempo, crea nuova cittadinanza. Le famiglie di immigrati di oggi saranno i cittadini di domani. I nuovi Italiani. A meno che non si pensi che non possono esserci italiani dalla pelle scura. Ma allora è questo il punto: dietro queste stupide parole si cela solo un bieco e triste razzismo. Ancor più grave, perché camuffato da un moderatismo pseudo-cattolico che pensa di difendere la famiglia alimentando la paura.

Vorrei dire al Giovanardi cattolico che ho conosciuto una Chiesa diversa da quella cui lui pensa di appartenere. A Kinshasa ho conosciuto i preti africani che raccolgono i bimbi dalla strada, che si prendono cura di orfanotrofi affollati e si disperano per la cieca burocrazia del processo di adozione, governata da chi non ha mai messo piede o dormito in quegli orfanotrofi. Preti giovanissimi che vestono i bambini e li portano a scuola. Kinshasa è una gigantesca pattumiera, ma l’umanità e la dignità di coloro che lì resistono e che sperano, che amano e che crescono, la rende una città piena di futuro. Un futuro che le nostre metropoli trafficate sembrano aver perduto nell’indifferenza, nell’odio, nella paura dell’altro. Quello stesso ‘impazzito’  desiderio di futuro che spinge ad avventurarsi per lunghi viaggi, per mare, senza saper nuotare, senza rotta, stipati tra le onde. A morire in quel blu profondo, a qualche metro dall’estate, dalle vacanze, dai tuffi, dalle vele.

Vorrei dire al Giovanardi presidente della Commissione per le adozioni internazionali, del mio orgoglio per i miei figli afro-italiani, nati a Kinshasa ma cittadini italiani. E per la mia famiglia italiana. Se uno come lui dovesse incontrare i miei figli per le vie di Milano forse penserebbe di essere circondato dal terribile nero che avanza. Di essere in minoranza. Di essere accerchiato. Ma forse, anzi sicuramente, Giovanardi è già in minoranza. Tra qualche anno, quando nessuno si ricorderà più di lui, i miei figli viaggeranno sorridenti in un paese che non ne indovinerà la nazionalità dal colore della pelle. E sarà un paese pieno di italiani. E di futuro. Italiani diversi che si assomiglieranno tra loro. Come io somiglio ai miei figli. E loro a me. Perché si assomiglia ciò che sa riconoscersi e rispettarsi. Ciò che sa appartenersi, scambiarsi, confondersi. Ciò che sa amarsi.

No, l’Italia che verrà non somiglierà a Giovanardi. Sarà bellissima. Sarà italiana.

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