Non è facile la vita dei giornalisti che vogliono curiosare sul malaffare dei circoli vicini a Nicolas Sarkozy. Oppure diventa molto facile quella di coloro che vanno a investigare sulla vita privata dei rivali politici del Presidente. Alcune recenti rivelazioni provano una certa nonchalance da parte dell’Eliseo in entrambi i sensi. Proprio adesso che Sarko vuole accreditarsi agli occhi dell’opinione pubblica internazionale come il vero artefice (vittorioso) dell’intervento occidentale in Libia. Ci si dimentica, però, che Sarkozy, al pari di Berlusconi, era “pappa e ciccia” con il rais fino a pochi mesi fa.

Cominciamo dall’affaire Bettencourt, il cognome di Liliane: anziana signora, azionista di riferimento di L’Oréal, la donna più ricca di Francia. Conosce Sarkozy da quando, giovanissimo, divenne sindaco di Neuilly-sur-Seine, il sobborgo dei ricchi di Parigi, luogo d’origine d’entrambi. Si è sempre detto che fosse un’assidua finanziatrice delle campagne elettorali di Nicolas. Poi la situazione è diventata ancora più imbarazzante, per i sospetti che madame, in là con l’età, sia stata circuita da personaggi della cerchia presidenziale per spillarle ulteriormente soldi. In un libro appena pubblicato in Francia, «Sarko m’a tuer», un’ex infermiera della donna accenna addirittura a buste contenenti liquido prese direttamente da Sarkozy nella dimora Bettencourt prima delle elezioni presidenziali del 2007. Ebbene, su tutto l’affaire l’anno scorso indagava, fra gli altri, Gérard Davet, un giornalista collaboratore di Le Monde (e coautore di «Sarko m’a tuer»). E il quotidiano, già nell’autunno del 2010, aveva puntato il dito contro l’Eliseo, accusandolo di avere utilizzato la Dcri, i servizi segreti interni, per controllare Davet e scoprire la sua «talpa» al ministero degli Interni.

A quel momento, Brice Hortefeux, che era responsabile di quel dicastero, aveva negato con decisione : “La Dcri mica è la Stasi”, aveva detto, stizzito. Ora, però, il giudice istruttore Sylvia Zimmermann, che sta indagando sulla vicenda, dopo che Le Monde aveva sporto denuncia, ha scoperto che era proprio tutto vero. Il controspionaggio chiese a Orange, l’operatore del telefonino di Davet, la sua bolletta dettagliata, con tutte le chiamate effettuate e ricevute nei giorni della sua inchiesta. La novità è diventata di dominio pubblico ieri. E in un editoriale pubblicato nel pomeriggio dal quotidiano si denuncia “la violazione della legge sul segreto delle fonti per tentare di limitare le fughe di notizie sul dossier Bettencourt”.

Per Claude Guéant, attuale ministro dell’Interno, si tratta invece di “semplici accertamenti su comunicazioni telefoniche”. Peccato che quel tipo di “accertamenti” sia proibito dalla legge del 4 gennaio 2010, approvata proprio con Sarkozy presidente. Senza contare che i controlli su Davet erano stati sempre negati dal Governo e dall’Eliseo. Da sottolineare: alla guida del Dcri vi è Bernard Squarcini, vecchio amico del Presidente.

Non finisce qui. Altra storia, ancora scottante per Sarkozy. E’ quella di Ziad Takieddine, oscuro uomo d’affari franco-libanese, vicino fra gli altri a Gheddafi, ma anche amico della cerchia di ministri e consiglieri che marca stretto il Presidente francese. Le attività di Takieddine, non proprio limpide (pure in Libia), sono state rese note in diversi articoli pubblicati quest’estate dal sito d’informazione Mediapart. Il caporedattore, Edwy Plenel, un ex di Le Monde, ha ammesso ieri che Fabrice Arfi, uno dei giornalisti a indagare sul caso, ha ricevuto esplicite minacce di morte. “Quello lo ammazzo, tre pallottole nella testa si prende”, ha detto al telefono alla redazione di Mediapart, riferendosi ad Arfi, un altro strano personaggio, Pierre Sellier, proprietario di una società privata di intelligence economica, vicino al gruppo dei fedeli sarkozysti e a Takieddine. Sellier si riferiva ad Arfi. E non era propriamente contento delle sue inchieste.

Certe volte, invece, il lavoro dei giornalisti è favorito dall’Eliseo. O almeno quello dei professionisti del’informazione amici. Lo afferma Aurelie Filippetti, deputato socialista, originaria della Lorena (figlia di un minatore comunista e nipote di immigrati italiani). Due anni fa la Filippetti si ritrovò in un commissariato per denunciare il compagno di allora di violenze coniugali. “Ne uscii alle dieci e mezzo di sera – racconta oggi – e alle sei del mattino del giorno dopo la mia denuncia era già nel Figaro”. Si tratta di uno dei maggiori quotidiani francesi, proprietà dell’imprenditore Serge Dassault, amico dichiarato di Sarkozy. “Alcuni giornalisti mi chiamarono – ha spiegato la Filippetti agli autori del libro «Sarkozy m’a tuer» – dicendomi che avevano ottenuto l’informazione da fonti dell’Eliseo, molto vicine al Presidente”. Apparentemente la polizia non aveva perso tempo a contattare chi di dovere. La Filippetti, che in Francia è molto nota, assai dura nelle sue crociate anti-sarkozyste, si ritrovò la propria vita privata sbattuta suo malgrado su quel giornale. “Il Figaro – ha ammesso – è un canale d’informazione alle strette dipendenze dell’Eliseo”.

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