Se tiro una sberla al figlio del mio vicino, il padre mi denuncia.
Se tiro una sberla a mio figlio la faccio franca.
Nell’uno e nell’altro caso un bambino subisce una violenza.

“Ma una sberla non ha mai fatto male a nessuno e anzi, a volte è pure utile!”

Ragionando in questo modo anche le percosse di un marito alla moglie potrebbero passare sotto silenzio: “L’ho picchiata per il suo bene! Per farla crescere! Non vuol capire! Mi sfinisce!” Allo stesso modo i poliziotti che irruppero nella scuola Diaz durante il G8 di Genova potrebbero dire: “Le nostre erano sberle paterne! Erano ragazzetti da rimettere sulla retta via!”

Non credo esistano schiaffi di serie A e schiaffi di serie B. Certo, esistono violenze ripetute nel tempo e violenze saltuarie e la pena non può essere la stessa, ma l’atto umiliante e brutale resta. Se è segno di inciviltà picchiare un adulto, perché non dovrebbe esserlo il picchiare il proprio figlio? Per quale ragione un autoritarismo duro e brutale non dovrebbe essere sanzionato?

In un articolo, apparso ieri sul Corriere della Sera, Isabella Bossi Fedrigotti sostiene che la legge svedese, che sanziona con il carcere ogni violenza sui figli, è eccessiva e conclude chiedendosi se “è giusto mandare in galera un padre o una madre che molla una sberla al figlio, quando, almeno da noi, in galera non ci vanno, a volte, nemmeno i veri assassini.”

Isabella Bossi Fedrigotti, però, dimentica che se un vero assassino a volte non finisce in galera è solo perché riesce a farla franca e non perché non ha commesso reato.

E’ vero, a volte può essere faticoso non farsi sfuggire una sberla quando nostro figlio ci fa perdere la pazienza, ma se crediamo nel rispetto della dignità umana come valore fondante dell’ esistenza nostra e dei nostri figli, sarà più difficile lasciarsi andare ad una violenza che non lascia vincitori sul campo.

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