Ho avuto la fortuna di poter scrivere con un magistrato, Mario Andrigo, questo libro, in cui raccontiamo la ‘ndrangheta come paradigma. Tra i lavori dello scrittore c’è anche, necessariamente, quello di promuovere il libro, andando in giro a raccontarlo e ad ascoltare le persone che lo hanno letto e che legittimamente hanno domande da fare e cose da dire. Nelle chiacchierate uscite finora, uno dei temi caldi è la forza della ‘ndrangheta, il suo sistema di regole, l’efficacia di questa organizzazione. Spesso capita che il confronto porta ad affinare le considerazioni scritte in precedenza, cosa che, puntualmente, è avvenuta anche in questo caso.

Il tema della discussione spesso verte sulla assoluta fedeltà degli ‘ndranghetisti che, nonostante il 41 bis, tacciono, non parlano, salvaguardano i loro accoscati. Ci si stupisce come persone evidentemente senza scrupoli, capaci dei più efferati delitti mantengano una fedeltà assoluta ai loro valori. Perché per quanto al di fuori dai canoni comuni questi sono, a tutti gli effetti, dei valori.Il sistema ‘ndrangheta, come noto, è fortemente coeso in forza della sua organizzazione in famiglie. Famiglie di sangue o famiglie allargate ma sempre, in qualche modo, con un legame forte. Questa organizzazione familiare, oltre ad aver per lungo tempo “fuorviato” la legge, imponendo lo spezzettamento delle indagini e depotenziando il reato di associazione mafiosa, è il motivo dello scarso numero dei pentiti. Pentirsi infatti per uno ‘ndranghetista vuol dire accusare fratelli, padri, cugini. Questo ovviamente è un deterrente fortissimo.

Ma c’è un altro aspetto di rilievo. L’aspetto rilevante è la certezza del sistema. Lo ‘ndranghetista sa che il sistema in cui è inserito, se lui rispetterà le regole, lo tutelerà. Non è solo una questione di “carriera”, è una questione di salvaguardia dei propri interessi e di “giustizia”. Una “giustizia” che ricorda la legge del taglione ma che, proprio perché semplice, rischia di essere assai efficace. Il sistema ‘ndrangheta è semplice, chi sbaglia paga (e chi paga paga caro e salato), chi segue le regole viene premiato. Questo, ovviamente può rappresentare un formidabile vantaggio competitivo nell’incontro con il ventre molle della politica (per esempio), dove invece in qualche caso è facile intrudersi nelle magagne, nella pochezza di uomini che, spesso, i valori non sanno nemmeno dove stanno di casa.

Allo stesso modo è forte il rischio dell’attacco al tessuto imprenditoriale dove, un po’ la crisi, un po’ il decadimento dell’etica del lavoro e del famoso tessuto delle Pmi italiane che sempre meno sono il cuore pulsante della nostra economia, potrebbero consentire vita facile a chi, come gli ‘ndranghetisti arriva forte di una enorme quantità di danaro e di una notevole capacità di lavoro. Il compatto sistema ‘ndrangheta potrebbe risolvere molti problemi, potrebbe presidiare tutta la filiera, potrebbe consentire l’accesso al credito, fornire manodopera, offrire un sistema di aziende che possono creare reti (addirittura internazionali), anche, ahimè, attraverso la compiacenza di alcuni funzionari, semplificando l’accesso ai fondi regionali, nazionali e internazionali.

I rapporti all’interno dell’ ‘ndrangheta sono improntati alla fiducia derivante dalla semplicità del meccanismo. Servono poche carte, i passaggi sono rapidi, il meccanismo è oliato. Nel cosiddetto sistema normale, invece, talvolta gli ostacoli sono tanti, e tendono a crescere. La burocrazia, l’accesso al credito rischiano di diventare problemi insormontabili. E’ un problema concreto da analizzare nei suoi fondamenti, pensando, ancora una volta, che il contrasto giudiziario è un pezzo della soluzione.

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