Giampi Tarantini esce dal carcere di Bari

Il presidente Berlusconi va “tenuto sulla corda” fino a metterlo “con le spalle al muro”, o “in ginocchio”. Insomma “andargli addosso”. Così parlavano, intercettati al telefono, Valter Lavitola e Giampaolo Tarantini. Per il gip di Napoli che ha ordinato l’arresto del direttore dell’Avanti! (che si trova all’estero) e dell’imprenditore pugliese, queste parole sono la prova regina del presunto ricatto al presidente del consiglio: ”Appaiono incontrovertibili e univoche le lunghe conversazioni telefoniche intercettate tra Lavitola e Tarantini”, scrive il gip. “Il tenore e il significato” delle “espressioni letteralmente utilizzate da Lavitola nel corso delle conversazioni”, risultano “inequivocabili e sintomatici della logica e della prospettiva ricattatoria che muove Lavitola e i coniugi Tarantini”.

Che cosa avrebbe messo Berlusconi “in ginocchio”? La minaccia, scrive il gip, “implicita e larvata” di Tarantini di un “cambio della strategia processuale fino a quel momento seguita” nel processo di Bari, nel quale l’imprenditore è accusato di aver procacciato prestazioni sessuali di giovani donne al presidente del consiglio. Finora Tarantini aveva sempre escluso, di fronte ai magistrati baresi, “ogni consapevolezza del Berlusconi in ordine alla natura mercenaria dei rapporti sessuali dallo stesso intrattenuti con le predette donne e comunque ogni partecipazione economica del Berlusconi ai relativi costi”.

Ovviamente, nota ancora il gip, il presunto ricatto verteva sui “rischi connessi al clamore mediatico della vicenda”. Aggravati “del previsto deposito di una serie di conversazioni intercettate in quel procedimento, dai contenuti scabrosi e quindi ritenuti gravemente pregiudizievoli per l’immagine pubblica dello stesso Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri”. A quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, si tratta di conversazioni in cui Tarantini e Berlusconi disquisiscono delle caratteristiche fisiche delle ragazze da procurare e di come debbano essere vestite. E di fatto altro non può essere che il prestigio del premier ad essere leso. Perché Berlusconi non è parte in causa nel processo. Ma può uscirne male comunque. Per questo, sembra dire il gip, tutto si gioca attorno alla condotta processuale di Tarantini. Lui pensa di poterne uscire meglio con un dibattimento, mentre il patteggiamento – scrive il gip – “sembra però suggerita ab externo al Tarantini nell’interesse sostanziale di Silvio Berlusconi dal momento che in tal modo, essendo il Tarantini l’unico indagato, il procedimento finirebbe in archivio, unitamente a tutte le trascrizioni delle conversazioni sopraindicate, senza possibilità quindi di circolazione sulla stampa.

Di qui la ”ripetuta dazione” di somme di denaro e altri benefici economici da parte del premier Silvio Berlusconi ai coniugi Tarantini, con modalità “dissimulate o comunque non trasparenti”  che questa mattina hanno portato in carcere l’imprenditore barese e la moglie Angela Devenuto. Al centro dell’inchiesta, anche l’editore e direttore de L’Avanti!, Valter Lavitola, che secondo la procura avrebbe fatto da mediatore e trattenuto per sé “parti consistenti” delle somme pagate dal Cavaliere, “impiegandole in diverse società a lui direttamente riferibili”. Dagli elementi di accusa finora ricostruiti emerge anche che Lavitola, destinatario di una ordinanza di custodia cautelare e irreperibile, contattava Tarantini attraverso schede telefoniche estere.

Gli atti riportano ad esempio una telefonata tra Lavitola e Marinella Brambilla, storica segretaria personale di Silvio Berlusconi. Secondo l’accusa, Lavitola utilizzava un linguaggio in codice, parlando di “fotografie” per intendere denaro, utilizzando tra l’altro una sim panamense. Il 23 giugno scorso, la Brambilla dice al giornalista: “Ok, allora riusciamo a stampare dieci foto, mandami…chi mi mandi il solito Juannino lì il tuo?”. Lavitola acconsente, e la segretaria del presidente del consiglio chiede altri chiarimenti: “Quando lo mandi? Perché io esco alle undici col dottore, mandamelo immediatamente”. In un’altra telefonata del 28 giugno si parla ancora di “foto”. Ancora la Brambilla a dire a Lavitola: “Le 20 foto sono pronte, mandami…quando?”.

I coniugi Tarantini, secondo l’accusa, avrebbero ottenuto dal premier non solo somme di denaro ma anche impieghi e altri incarichi di lavoro, il canone di locazione di una prestigiosa casa nel centro di Roma (in via Vittorio Veneto, la stessa da cui sono stati prelevati questa mattina, ndr) e il pagamento di alcune spese legali.

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Il gip Amelia Primavera ha accolto quindi la richiesta di custodia cautelare avanzata dai pm Henry John Woodcock, Francesco Curcio e Vincenzo Piscitelli. La tesi degli inquirenti era già stata anticipata il 25 agosto scorso dal settimanale Panorama. La stessa procura di Napoli aveva aperto la caccia alla “talpa” che ha girato lo scoop al settimanale della Mondadori il principale indagato nell’inchiesta sulla presunta estorsione al premier riferiva ai giornalisti la propria versione: prestavo dei soldi a Gianpaolo Tarantini – diceva Lavitola all’AdnKronos, rispondendo dalla Bulgaria – e Berlusconi mi rimborsava. Insomma, un’affermazione che confermava la versione fornita da Berlusconi al settimanale – “Ho aiutato Tarantini attraverso Lavitola perché era disperato” – andando ad allinearsi alla tesi preferita dal premier e dai suoi fedelissimi: nessuna estorsione, nessun ricatto, pura generosità.

In una nota a firma del procuratore aggiunto Francesco Greco si sottolinea che “l’inchiesta sulla presunta estorsione ai danni del premier Berlusconi trae origine da più ampie e diversificate indagini” coordinate dalla procura partenopea e che l’esigenza degli arresti è stata anticipata proprio dalla fuga di notizie. In particolare si fa riferimento a indagini condotte, anche con intercettazioni telefoniche, dalla Digos di Napoli su alcune società del gruppo Finmeccanica, “dove Valter Lavitola sembra svolgere non meglio definite attività di consulenza”.

Gli esiti delle investigazioni della sezione criminalità economica della procura sono poi confluiti in quelli delle indagini della sezione reati contro la pubblica amministrazione riguardanti lo stesso Lavitola e altri indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta P4, che vede coinvolti tra gli altri il parlamentare del Pdl Alfonso Papa e l’uomo d’affari Luigi Bisignani.

I pm della procura partenopea hanno sollevato anche il nodo della competenza territoriale dell’inchiesta che potrebbe essere trasferita da Napoli in un’altra sede: risulta infatti difficile capire dove siano avvenute – certamente non a Napoli – le dazioni al centro delle indagini. E’ quindi verosimile che nei prossimi giorni gli atti possano passare ad un’altra procura, forse proprio quella di Roma.

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