In un Paese che rotola come una pietra, nonostante il presidente del consiglio Berlusconi continui a ripetere che “non esiste nessun problema”, anzi ci risolleveremo subito grazie a lui, proprio nel giorno in cui Ezio Greggio presenta un film in 3D e riesce a profanare il tempio della cultura che fu il Festival del cinema di Venezia, e la lobby Mirigliani si prepara a eleggere Miss Italia, non poteva mancare il maggior partito di opposizione ad alimentare quella nebbia con visibilità 50 metri. Il nodo di oggi del centrosinistra, non ancora passata la bufera Penati, è il referendum promosso dai prodiani e voluta con forza da Di Pietro e Sel, che si propone di abrogare il porcellum, l’attuale sistema elettorale. “Io non firmo”, ha detto Bersani davanti a 4000 persone. “Appoggio l’iniziativa, ma non la sottoscrivo perché quella elettorale è una legge che deve passare dal Parlamento”.

Il primo problema – e Bersani l’ha fatto intendere apertamente – è non irritare l’area di centro che fa capo a Pierferdinando Casini, visto che se il Pd si buttasse a capofitto nel referendum salterebbe ogni ipotesi di dialogo con l’Udc.

Così Bersani ha spiegato che il porcellum debba appartenere al passato, con un occhio agli alleati che ci saranno e un altro al suo partito: “Credo che firmeranno in tanti – spiega Bersani incalzato sulla firma di “penne” illustri come Prodi e Veltroni e dalle domande di Enrico Mentana – ma quando dico che non ci vogliono più i partiti di una volta, mi riferisco anche al rapporto tra i partiti e la società. I partiti non possono fare tutto, io non firmo, ma lo sosterrò, come ho fatto per i referendum del 12 e 13 giugno. Non voglio più che ci siano dibattiti come quelli di 15 anni fa, quando la società civile si poneva come antipolitica. Il partito dovrà avere un ruolo positivo, ma parziale. Io sono il primo firmatario di una proposta di revisione della legge elettorale e ne chiediamo la calendarizzazione. Il referendum abrogativo può dare uno stimolo o in extrema ratio dare una spinta per dire addio a questa legge porcellum che è il peggio che abbiamo, ma il partito vi darà solo un sostegno, non trovo giusto che un segretario di partito debba metterci il cappello. Spero, invece, che la legge la si faccia in Parlamento. E se a questa nuova legge elettorale non ci arriveremo, attiveremo tutti i possibili meccanismi di partecipazione nella scelta dei candidati”.

Una non risposta che lascia aperti spiragli, apparentemente, ma non toglie dalle sabbie mobili il segretario del Pd. E, paradossalmente, il suo nemico, in questa fase, è proprio l’uomo che Bersani lo ha creato, scovato tra le rive del Po piacentino e il Reno di Bologna e portato a Roma a fare il ministro: Romano Prodi. D’altronde la firma pubblica del Professore (e dietro a lui Walter Veltroni e il sindaco di Torino Piero Fassino, il vice segretario Dario Franceschini) ha un suo rilievo, determinante quasi. Non solo firmano, ma si impegnano ad aiutare il referendum, a far sì che venga definitivamente cancellata questa legge elettorale, ribattezzata porcellum, pur di tornare al mattarellum e a un sistema che assomigli il più possibile al bipolarismo.

Prodi ha spiegato che questo non significa un suo ritorno alla politica attiva (aspira al Quirinale, ormai lo sanno anche i corazzieri) ma ogni volta che il Professore si muove sposta anche il baricentro del partito. Inevitabilmente. E questa volta non solo trascina i gli ulivisti della prima ora, come Giulio Santagata o Arturo Parisi, e l’ala democratica del Pd, ma anche diversi uomini legati al territorio (Stefano Bonaccini, per non fare nomi, segretario del Pd in Emilia Romagna) e governatori regionali del calibro di Enrico Rossi (Toscana) e Vasco Errani (Emilia Romagna), sindaci come quello di Bologna, Virginio Merola e quello di Pisa, Marco Filippeschi, via via fino alla base.

Una scelta, quella referendaria, che mette in crisi il partitone, e in particolare Bersani, già impegnato a schivare i missili terra-aria dell’affaire Penati: se così fosse, ha detto senza se e senza ma Pierferdinando Casini, ogni ipotesi di accordo con l’Udc salterebbe, dunque anche l’idea di segreteria che Bersani si era fatto.

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