Con una lunga lettera indirizzata alla direzione provinciale del Pd, Filippo Penati assicura che “se al termine delle indagini in corso, tutto non verrà chiarito” non si “nasconderà dietro la prescrizione”, non accetterà “in nessun modo, un esito che lasci dubbi e zone oscure”. E aggiunge di non aver mai intascato mazzette e di non aver nemmeno mai raccolto finanziamenti per il partito. Pierluigi Bersani così commenta: “Ha fatto tutti i passi indietro che poteva fare. Spero che prima o poi qualcuno di questi commentatori attenti che giustamente seguono la vicenda chiedano anche: ‘Ma Berlusconi, Verdini, Scajola, Milanese come si stanno comportando? Stanno facendo dei passi indietro?’ Credo che noi abbiamo un altro modo: presunzione d’innocenza sì, però passi indietro, rispetto della magistratura e poi tutti i cittadini uguali davanti alla legge” .

Penati, ex presidente della Provincia di Milano, già sindaco di Sesto San Giovanni, è la personalità più di spicco coinvolta dall’inchiesta della Procura di Monza su un presunto giro di tangenti attorno al progetto di riqualificazione dell’area ex Falck di Sesto. L’ex capo della segreteria politica di Bersani è accusato di concussione, corruzione e finanziamento illecito ai partiti. L’indagine parte dalle rivelazioni di due imprenditori, anch’essi indagati: Giuseppe Pasini, ex proprietario dell’area Falck, e Piero di Caterina, capo dell’azienda di trasporti Caronte. Secondo l’accusa, Penati sarebbe stato il destinatario di 5,7 miliardi di lire per favorire alcuni imprenditori. Ciò nonostante il giudice per le indagini preliminari di Monza Anna Magelli ha respinto la richiesta di carcerazione per l’esponente politico perché secondo lei non ci sarebbero state né concussione né finanziamento illecito ai partiti. Per quanto riguarda l’ultimo reato, la corruzione, sarebbe stato prescritto.

I pm monzesi Walter Mapelli e Franca Macchia hanno fatto ricorso al Tribunale del riesame contro la decisione del gip. Nel frattempo Penati si è autosospeso dal Pd e dalla carica di vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia, ma nel partito sono sempre di più le voci che chiedono l’espulsione dell’ex sindaco del paese alle porte di Milano. Se ne occuperà il prossimo 5 settembre la Commissione di garanzia presieduta dall’europarlamentare Luigi Berlinguer che però si è mostrato molto cauto su questa eventualità: “Per adottare una simile decisione c’è bisogno di una certezza giudiziaria o di forte certezza politica, documentata”. E le parole di Penati, che ha lasciato intendere di voler rinunciare alla prescrizione facendosi giudicare dalla magistratura, potrebbe influire sulla decisione dell’organismo.

Il vero punto politico (e giudiziario) dell’inchiesta è però un altro. Se davvero Penati ha intascato tangenti a partire dal 1994, cosa sapevano di tutto questo i vertici nazionali prima dei Democratici di sinistra e poi del Pd? Durante l’indagine gli investigatori hanno raccolto dichiarazioni – tutte ancora da riscontrare – secondo le quali il “sistema Sesto” serviva per finanziare i democratici. Il ruolo delle cooperative rosse nell’affare potrebbe spiegarsi proprio così: bisognava far lavorare delle imprese che poi destinavano parte dei loro proventi al partito.

Qui sotto ilfattoquotidiano.it mette a disposizione dei suoi lettori i principali documenti dell’indagine su Penati: la richiesta di custodia cautelare nei suoi confronti e degli altri indagati, l’ordinanza con cui il gip la respinge mandando però in carcere altri due protagonisti della vicenda e il ricorso con cui la procura chiede invece che l’ex capo-segreteria di Bersani venga arresto per concussione.

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