I giovani del Nord non riescono più a fare impresa. E’ quanto emerge dallo studio sull’imprenditoria under 30 in Italia realizzato dall’istituto di sondaggi Datagiovani di Padova. Il dato complessivo, tra il 2006 e il 2011, dice che il numero di titolari ed amministratori giovani si è ridotto di circa 64 mila unità (-16,4%), 7800 solo nell’ultimo anno. Secondo l’analisi, le regioni maggiormente interessate dal calo sono il Veneto (-22,9%), l’Emilia Romagna (-24,6%). Va male tutto il Nordest, che fa registrare cali sensibili anche in Trentino Alto Adige (-17,7%) e in Friuli Venezia Giulia (-19,9%). Da rilevare, per questo territorio, anche il peggiore tasso di imprenditorialità giovanile, che è passato dai 52,15 imprenditori ogni 1000 giovani del 2006 ai 40,33 di oggi.

Il settore più colpito dall’emorragia è quello manifatturiero (-46% in 5 anni), mentre hanno reagito meglio commercio e servizi. Secondo gli estensori dello studio, ciò va ricondotto anche ai processi di deindustrializzazione in atto nel nostro Paese, ma certo non vi è stata una riconversione completa verso altri settori (lo testimonia il -21% dell’agricoltura e il -14% delle costruzioni). Crisi, pessimismo, difficoltà di accesso al credito. Questi, secondo il responsabile di Datagiovani, Michele Pasqualotto, i principali fattori che stanno pesando sul calo del numero di imprenditori under 30 in Italia. “La crisi penalizza in maniera maggiore le imprese meno strutturate – spiega Pasqualotto -, perché le imprese giovani hanno un background meno solido e si trovano soffocate dalle problematiche di carenza di liquidità”.

Il calo è determinato anche dal minore ricambio: “Per un giovane che esce dal mondo imprenditoriale – continua il responsabile di Datagiovani – non ce n’è più un altro disposto a prendere il suo posto. Questo non solo per colpa della crisi, ma anche per la diminuzione della cultura imprenditoriale. Oggi c’è meno voglia di fare impresa, c’è meno fiducia in queste possibilità. Inoltre oggi i giovani iniziano a lavorare più tardi, vuoi perché si studia di più, vuoi perché l’accesso al primo impiego si è spostato avanti nel tempo. Così tutto inizia più tardi”. A questo si sommano le difficoltà di accesso al credito: “La crisi ha portato con se anche una forte stretta creditizia, per un giovane oggi è più difficile che mai reperire risorse bancarie per aprire una nuova attività. Una volta dove non arrivavano le banche c’erano i risparmi della famiglia. Oggi anche i risparmi si stanno erodendo e diventa difficile per le famiglie sostenere le imprese dei giovani”.

In questo contesto soffrono maggiormente le regioni del nord, ad alta concentrazione di imprese manifatturiere. In particolare Emilia Romagna e Veneto, dove secondo Pasqualotto è la diffusa mancanza di opportunità a penalizzare i giovani: “Qui c’è una visione particolarmente negativa del futuro, al nord c’è un pessimismo diffuso. Qui non si è mai faticato a trovare lavoro, mentre oggi i giovani si stanno rendendo conto degli effetti della crisi. Purtroppo al nord si è meno preparati di fronte le difficoltà rispetto al sud, dove i giovani sono più abituati ad affrontare situazioni critiche”. Situazioni che non dipendono solo dalla crisi, ma che sono originate anche da una serie di fattori ambientali negativi peculiari del nostro Paese, altrimenti non si spiegherebbe perché i giovani italiani abbiano minore spirito imprenditoriale rispetto ai pari età degli altri paesi dell’Unione, come rilevato da un’indagine di Eurobarometro.

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