La bellezza del territorio è sempre più cosa rara. Le aziende di turismo e soggiorno riempiono ancora i loro depliant di fotografie di bei siti, ma l’impressione è che fatichino sempre di più a trovarli. Due esempi del tutto diversi tra loro.

Di recente mi sono recato in uno splendido, appartato angolo sulle nostre montagne, dove  un limpido torrente crea una cascata. Sui massi alla base è un osceno fiorire di scritte del tipo “Tvb” e disegni di organi maschili. A Torino è stata recuperata una bellissima, intima piazzetta. Nel piccolo giardino pubblico sono state piazzate delle panchine. Sono in cemento, senza schienale. L’impressione è quella di sedersi su di una pietra tombale.

L’ho detto, sono due esempi totalmente difformi ma sintomatici di un degrado del senso della bellezza.

Un tempo tale senso era comune alla popolazione e questo faceva sì che – su una terra già naturalmente dotata di splendidi paesaggi – l’uomo intervenisse con cautela, inserendo le sue opere all’interno dei paesaggi stessi ed arricchendoli ulteriormente. Questo rendeva l’Italia meta di studiosi da tutto il mondo che ne ammiravano il sapiente intrecciarsi, la sapiente armonia fra natura e opere umane.

Oggi buona parte dei bei paesaggi italiani è sconvolta, e spesso mi è venuto da pensare che sì, va bene, questi massacri sono “giustificati” dai fiumi di denaro che stanno dietro alle pesanti modificazioni, che sì, ci sono leggi in Italia che agevolano lo scippo, tutto questo è vero. Ma è altresì indubitabile che si è perso il senso della bellezza. Lo ha perso la gente, lo hanno perso, purtroppo, i politici.

Se quanto meno i nostri amministratori conservassero un minimo di coscienza del bello, forse alcuni scempi potrebbero essere evitati. Invece oggi il senso, il gusto del bello, sono diventati merce rara. Con l’industrializzazione, esso è venuto a mancare sia alla gente, sia a chi la governa. Basti pensare che Benedetto Croce, già nel 1920, tuonava: “Occorre dunque una legge che ponga finalmente un argine alle ingiustificate devastazioni che si van consumando contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo.” Ed era solo il 1920: pensate la catastrofe che si è abbattuta dopo…

Ed è anche con una perdita totale del senso estetico che si possono spiegare scelte scellerate quali quelle delle grandi pale eoliche su delicati e magnifici crinali, oppure grattacieli vicini ai centri storici o mega porticcioli turistici. Ma non solo.

Guardiamo alle Langhe di Cesare Pavese e Beppe Fenoglio: con quale faccia tosta si è potuto pensare di candidare le Langhe a patrimonio dell’umanità, quando i fondovalle di queste famose colline sono stati sfregiati da innumerevoli capannoni industriali, magari con una inquietante scritta “Vendesi” appiccicata sopra? Guardiamo alla Sardegna: con quale spudoratezza si è potuta spalmare la costa nord di cemento e poi pure chiamarla Costa Paradiso?

Del resto, che cosa possiamo aspettarci dai nostri amministratori se addirittura il capo del governo – proprio nella sua villa sarda e come il peggiore dei parvenu – ha avuto l’ardire di farsi fare un vulcano, un anfiteatro greco ed una cascata finti?

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