Sono sempre felice quando un intervento scatena un così appassionante dibattito. Soprattutto se il tema riguarda una tragedia collettiva. Non mi riferisco soltanto alla strage di Bologna, ma a tutte le stragi e al terrorismo che in Italia ha bruciato due o tre generazioni di giovani. Un paese che non ha memoria del proprio passato, non ha neppure futuro. Ma purtroppo è accaduto ciò che temevo, tutta l’attenzione si è incentrata sul ruolo di Giusva Fioravanti e di Francesca Mambro che forse sono innocenti o forse no, in ogni caso sono soltanto pedine di un gioco ben più grande di loro.

La tesi di fondo è che, poiché hanno confessato 28 omicidi, avrebbero con disinvoltura potuto confessare anche una strage che, per la pista imboccata, portava molto, molto in alto. A dire il vero mai i terroristi, di ogni colore, hanno ammesso di essere strumento di altri poteri, tranne rare eccezioni e in modo velato. Anche i brigatisti si sono ben guardati dal rivelare le presenze imbarazzanti in via Fani o parlato di prigioni diverse da via Montalcini, o detto chi ha realmente ucciso Moro. Chiunque abbia seguito quei processi ne è uscito con la convinzione che, se alla fine tutti hanno usufruito di abbondanti sconti di pena, non è per quello che hanno confessato ma per ciò che hanno taciuto.

Quanto ai soldi spesi da Gennaro Mokbel è soltanto un dettaglio; non so se sia vero o no, l’affarista se ne lamentava con un amico al telefono, ma a me è dispiaciuto scoprire che i due, al cui ravvedimento credo, non abbiano mai reciso i legami con il passato. In ogni caso sono liberi, non sono più pericolosi, lasciamoli andare. Quello su cui volevo riflettere è che la tardiva riscoperta della “pista palestinese” potrebbe portare a una revisione della sentenza sulla strage di Bologna e cioè vanificare venti anni di indagini che hanno portato a una verità, per tre volte filtrata dalla Cassazione, che non ha mai contraddetto l’impianto iniziale. Anche se gli imputati sono via via diminuiti perché estranei al delitto o per l’impossibilità di individuare prove.

Una verità all’interno della quale non troviamo soltanto i Nar ma i sistemi criminali che in quegli anni comandavano in Italia e forse comandano ancora: P2, servizi segreti deviati e quell’Agenzia del crimine nella quale confluivano mafia, malavita romana e terrorismo nero. Parlo della Banda della Magliana, ormai a tutti nota per libri, film e celebrazioni varie. Non si può escludere un errore giudiziario, è vero, ma non basta l’iscrizione come atto dovuto di due ex terroristi della banda di Carlos che vanno a dormire in albergo facendosi registrare con i loro veri nomi, a mettere in discussione una sentenza passata in giudicato. Sarà un processo semmai a farlo, se ci sarà il processo.

Non convince il movente, soprattutto. Tra il 1975 e il 1980 era intervenuto il Lodo Moro che non consentiva soltanto ad Arafat, ma anche allo Sciacallo di transitare armi e bagagli sul nostro territorio. Il Lodo Moro era una cosa seria, quasi un accordo tra Stati, e molti da una parte e dall’altra si stavano adoperando per risolvere l’”incidente” in cui erano incappati Pifano e il palestinese Anzeh. Ho citato il colonnello Giovannone, ma parliamo anche di ambasciate, contatti diplomatici, interventi politici sotterranei, che poi molto sono costati a Craxi e Andreotti. Ma questa è un’altra storia.

La condanna di Gelli e dei due alti ufficiali del Sismi, come manovratori della strage, invece, convince. Convince perché conduce a scenari presenti in molte altre inchieste giudiziarie su stragi e terrorismo, quasi tutte in verità, ma che mai era stato possibile perseguire. Soltanto a Bologna si è riusciti a scovare la prova che inchioda. Quella falsa informativa, costruita dal maresciallo Senapo reo confesso, ispirata dai vertici di Gladio. Un’informativa, è vero, che conduceva sulle tracce del neofascista Vale, amico di Giusva, che era però già indagato a Roma insieme a un gruppetto di persone molto interessanti. L’esperienza insegna che spesso i servizi segreti mescolano il vero con il falso così alla fine di notte tutte le vacche sono nere.

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