Ha fatto il giro rapido di tutti i social network, l’articolo del Telegraph che parla di un’indagine condotta fra le donne europee, dalla quale le italiane risulterebbero le più infelici. L’infelicità, sia chiaro, non è legata ad amori finiti o cuori spezzati ma a cose concrete come l’assenza di lavoro, la difficoltà a ricollocarsi se non più giovanissime, una condizione difficile peggiorata dal machismo dilagante e imperante.

Insomma, le italiane hanno molti motivi per non sprizzare allegria da tutti i pori e sembra quasi ridondante riportare come le donne intervistate affermino che la presenza quasi ventennale di Silvio Berlusconi al timone del barcone Italia, abbia notevolmente peggiorato la situazione, rafforzando l’attitudine maschilista che prevale in ogni contesto.

Ora, mentre leggevo, immaginavo già il solito refrain di chi dice che sono tutte chiacchiere e che altrove si sta peggio e, la più orribile, “tutto il mondo è paese”. Come ho già detto altre volte, sono certa che la “negazione” dei fatti attraverso la (falsa) idea che sia uguale ovunque, non aiuti affatto il Paese a migliorare.

Eppure, chiunque, facendo mente locale, potrebbe facilmente (ahimè) ricordare un lungo elenco di donne che: non lavorano, hanno perso il lavoro, non riescono a trovare un nuovo lavoro, sono infelici nel loro matrimonio, tornando indietro non si risposerebbero. Ovviamente, ci sono altrettanti uomini per ciascuna di queste categorie ma il fatto che abbiano o no un fisico da modelle nel loro caso è molto meno rilevante per trovare lavoro; il fatto che loro siano giovani o meno giovani è leggermente meno condizionante per ricollocarsi; il fatto che loro, oltre che del loro lavoro, si occupino anche della casa e dei figli è assolutamente “ornamentale” in moltissimi casi. Sempre una ricerca condotta a livello europeo, infatti, rivela che il 70% degli uomini italiani non accetta di buon grado di partecipare ai lavori domestici e il 95% non ha mai (dico mai) svuotato una lavatrice dal bucato.

Quando ero piccola non “vedevo” tutto ciò. Mio padre, cresciuto in una famiglia “matriarcale” (il papà morto giovane e il fratello più grande sui monti a fare il partigiano) non è mai stato, per fortuna, un maschilista. Ma nemmeno lontanamente. Lui ha condiviso con mia madre tutto e quando lei è stata in ospedale per mesi, fra la vita e la morte, lui si è occupato di me, mio fratello, della casa, del cane e senza mai prendere giorni di ferie se non proprio indispensabili. Crescendo ho scoperto un mondo diverso. Dove, ancora oggi, nel 2011, qualcuno mi guarda (solo in Italia) con occhi ricolmi di pietà quando dico che non sono sposata e non ho figli. Come se fossi un fallimento. Ho persino smesso di provare a spiegare che io figli non ne ho voluti e che non è necessario essere sposati per averne. E, soprattutto, che si può essere felici senza.

Ho smesso e ho preparato le valigie. Ho amiche a Londra, a Bruxelles, in Spagna, in Francia. Nessuna è felice “al settimo cielo” ma nessuna tornerebbe in Italia o, perlomeno, nessuna ricorda se stessa più felice nel Belpaese.

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