Il futuro si sa, è imprevedibile. Ma anche il passato spesso può essere un giacimento nascosto e nel buio può riservare sorprese ed esperienze emozionanti. È come un fiume che scorre ed è colmo di vita segreta, che deposita i suoi relitti sulla sponda, in successive ondate , nel tempo. E sulla sponda, l’artista che oggi andiamo a conoscere, sembra averne raccolto i frammenti mettendoli insieme dando vita a un album “La Via della Seta” ideale compagno per qualsiasi  viaggio, in tempo d’estate, che ci accingiamo a intraprendere.

Andrea Gianessi è un “cantautore di confine”– come ama definirsi –  e fuori dagli schemi, sperimentatore curioso e insaziabile. Da qualche mese è uscito il suo primo album intitolato, appunto,  La Via della Seta, “dedicato alla contaminazione tra la moderna canzone italiana ed i colori e le sonorità acustiche orientali, mediorientali e mediterranee”. Le canzoni sono il punto di partenza di un viaggio musicale che si inoltra nei territori selvaggi dell’immaginazione, simbolicamente racchiusi nell’idea della Via della Seta, e seguono idealmente le strade tra la Cina e l’Europa, attraverso i suoni di strumenti provenienti dalle tradizioni più disparate quali bouzouki, tabla, violino, oltre a chitarra, cajon, riqq, darbouka, flauto traverso, violoncello, fisarmonica. Ma non di solo viaggi vive il disco, Gianessi racconta anche la povertà dei nostri tempi, economica e culturale.

Andrea, come è nato questo album e perché hai deciso di intitolarlo proprio così?
Dopo una tale sbornia di libertà ho sentito l’esigenza profonda di ritornare a una forma più definita di musica, ho voluto riscoprire la canzone nella sua semplicità, che è poi la sua maggior forza e bellezza. Desideravo anche ritornare a un approccio più live, più suonato e meno tecnologico, e per questo con un gruppo di amici e ottimi musicisti conosciuti negli anni universitari abbiamo dato vita, nel 2008, a quello che inizialmente era un gruppo destinato principalmente a suonare dal vivo, poi dopo tre anni di concerti è venuto naturale fissare il tutto in un disco. La fase di arrangiamento dei brani è stata un’importante esperienza collettiva ed è stata sicuramente filtrata con la lente delle precedenti mie peregrinazioni musicali. Volevo che la tavolozza timbrica dei brani fosse la più aperta e colorata possibile, rifuggendo dagli standard del pop, ma senza chiudersi nel purismo. Da qui la scelta di porre a contatto e far reagire strumenti ed esperienze di culture e tradizioni diverse con la canzone italiana e il pop, in un’ottica di massima apertura e interazione. L’idea della Via della Seta per me sta a significare esattamente questo, non è infatti tanto il luogo dell’esotico o del pittoresco, quanto quello dell’incontro. Essa univa Oriente e Occidente in un coacervo di sentieri e percorsi differenti lungo i quali per secoli le culture umane si sono mescolate arricchendosi a vicenda. La Via della Seta è quindi essenzialmente un emblema della comunicazione interculturale e più in generale umana, e porta con sé istanze strettamente legate al nostro presente, direi anche al quotidiano, tutti argomenti che io cerco sempre di affrontare nei testi delle mie canzoni. Anche per questo mi è sembrato il titolo perfetto per l’album.

Come nasce la tua passione per questo genere di musica etnica?
Ho ascoltato e ascolto molta musica di tutto il mondo perché trovo affascinanti le diversità delle soluzioni timbriche, melodiche, ritmiche e formali che si possono incontrare se appena ci si affaccia oltre la standardizzazione industriale a cui il pop di massa odierno ci ha tristemente abituato. Perché limitarsi a una visione monocroma e monolitica quando nella realtà troviamo un’infinità di spunti e un’immensa varietà di colori e forme? Detto questo non mi considero comunque un musicista “etnico”, piuttosto un autore curioso, che ama fare esperienze. E del resto tra i miei principali ispiratori ci sono proprio grandi nomi italiani come Battisti, De André, Pagani o Battiato che della contaminazione si sono nutriti ben prima di me. Per non parlare dei Beatles. In sostanza credo che continuerò a ricercare, come ho sempre fatto, spunti creativi nel mondo che mi circonda senza però rinchiudermi nella nicchia dell’etnico. In questo senso trovo in effetti più azzeccata la definizione di “world music”, che è tanto generica da permettere una maggiore libertà di movimento: in fondo facciamo tutti una “musica del mondo”!

Ascoltando il tuo disco una volta inserito nello stereo, si ha come l’impressione di intraprendere un viaggio…
Hai ragione, il disco vuole proprio essere un viaggio, o, meglio ancora, più di uno. A parte l’evidente legame ideale con il viaggio iniziatico sulla Via della Seta infatti mi piace pensare che ogni persona che ascolti l’album possa trovare dei suoi personali percorsi, scivolando tra i brani come un rivolo d’acqua. Io stesso continuo a trovarne di nuovi. Possono essere viaggi mentali, concettuali, oppure di abbandono, di deriva, di “deragliamento dei sensi”. Lo si può prendere dal lato politico-sociale o da quello impressionistico delle sensazioni personali, dal concreto all’astratto… è il bello della musica.

Cosa trovi culturalmente noioso?
Il purismo e l’accademismo, trovo siano sterili imbalsamature di cadaveri. Come cercare di mettere la vita sotto formaldeide.

Il disco che non dovrebbe mancare in una collezione?
Sicuramente Anime Salve, l’ultimo disco di Fabrizio De André, un capolavoro a cui devo molto del mio percorso. Aggiungerei anche Revolver dei Beatles, che è un ottimo esempio di come la curiosità intellettuale si possa produrre in bellissimi risultati anche ai massimi livelli del pop.

Hai concerti in vista?
Ho fatto parecchi concerti finora e quest’estate ho deciso di prendere un po’ di tempo per lavorare in studio. Ricomincerò comunque a girare dal vivo da settembre-ottobre. Un appuntamento che mi sento di segnalare è La Notte del Reincanto, la serata-spettacolo messa in scena con i miei amici musicisti di Frankspara e del Trio Radiomarelli raccolti sotto l’ala dell’etichetta Reincanto Dischi. Faremo ai primi di ottobre una data a Firenze, al Teatro del Sale, e una a Bologna, e ci saranno delle belle sorprese.

E per chi volesse saperne di più basta andare sul suo sito ufficiale.

Credits:
Produzione esecutiva: Reincanto Dischi
Andrea Gianessi: voce, bouzouki, chitarra.
Francesco Giorgi: violino, cori.
Antonello Bitella: flauto traverso, cori.
Francesco Gherardi: tabla, percussioni, cori.
Domenico Candellori: tamburi a cornice, darbuka, cajon.
Maria Paola Balducci: Violoncello

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