Nel cinquantesimo anniversario dell’edificazione del Muro di Berlino diverse rievocazioni si concentrano su storie e personaggi dello sport legati alla vicenda del paese diviso. Molto suggestiva, fra le altre, quella pubblicata nell’edizione odierna del Fatto Quotidiano a pagina 13, e relativa alla figura di Jürgen Kissner, ciclista della Germania Est fuggito a Ovest nel 1964. Ma la più originale l’ho trovata a pagina 43 della Gazzetta dello Sport oggi in edicola.

Essa riguarda il discobolo Jurgen Schult, tedesco dell’Est rimasto da questa parte del Muro fino al suo crollo. Schult, che attualmente lavora come allenatore dei lanci per la Federazione tedesca dell’atletica leggera, è stato rintracciato nella sua casa di Potsdam dal corrispondente della Gazzetta in Germania, Marco Degl’Innocenti. Il motivo di questo interesse è dato dal fatto che il prossimo 25 agosto Schult potrà avvalersi di un primato dei primati: da quel giorno il suo 74.08 nel lancio del disco, stabilito il 6 giugno 1986 a Neubranderburg, sarà il record più longevo nella storia delle specialità olimpiche maschili. Scalzerà il primato fissato dal mitico Jesse Owens nel lungo il 25 maggio 1935 (8.13), e durato 25 anni e 79 giorni, fino a che un altro atleta Usa (Ralph Boston) lo migliorò toccando quota 8.21.

Ma la cosa davvero stupefacente della vicenda è che Schult, interpellato dal giornalista della Gazzetta, del suo record non vuol proprio sentir parlare. Non sapeva di approssimarsi a essere il recordman dei recordman, e si è augurato che qualcuno arrivi presto a migliorare la sua prestazione. Quasi non volesse più portarne il peso. Esistono molte declinazioni dell’ossessione da record, ma quella di Schult è senza dubbio la più originale.

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