“A Roma, dopo il caso Marrazzo per le persone trans che si prostituiscono è diventato molto più difficile lavorare, e le zone che prima frequentavano sono andate spopolandosi. Questo anche perché la percezione dei rischi di aggressione è diventata più forte”. A dirlo è Rebecca Zini, responsabile nazionale dell’area salute di Arcigay, che oggi a Bologna ha presentato i primi dati di una ricerca sulle persone Lgbt (lesbiche, gay, bisex e transessuali) che sono senza fissa dimora o si prostituiscono per strada.

Il progetto “Approdi negati” – portato avanti in cinque città campione (Roma, Milano, Napoli, Cosenza e Bologna) e finanziato con 100 mila euro dal ministero del Welfare – è stato il primo di questo tipo in Italia. Ne sono emerse 80 interviste raccolte da marzo tra le persone Lgbt sia nei dormitori e nei centri per gli homeless, sia nei luoghi della prostituzione per strada. Un primo fatto emerge: nel processo che porta a perdere la casa, l’essere gay può essere un fattore determinante. “Se perdi il lavoro ti puoi affidare alla famiglia, ma se dalla famiglia sei scappato perché non accettavano il tuo essere omosessuale – spiega Zini – allora il passo verso la strada è più breve”.

Una volta finiti nei dormitori la vita non è di sicuro più facile. Molti operatori, anche loro intervistati, hanno raccontato che durante l’emergenza freddo, quando al dormitorio non c’è alternativa, la presenza di omosessuali nelle stanze ha provocato problemi e anche risse. Per questo motivo il progetto ha previsto anche la formazione, da parte dell’Arcigay, degli operatori che lavorano a contatto con questa povertà estrema, operatori che di fronte agli omosessuali ma soprattutto a persone trans, non sanno come comportarsi.

Il caso più eclatante è stato quello di una trans inserita in un dormitorio maschile a Roma, spiegano i responsabili della ricerca Arcigay. La storia è molto comune tra le persone trans che sono costrette a prostituirsi: all’età di 50 anni, dopo un ictus che l’ha colpita, lavorare sul marciapiede era diventato impossibile. L’unica fonte di sostentamento allora è andata via e nel frattempo la famiglia era lontana. “Arrivata nel dormitorio maschile il lavoro di inserimento è stato molto difficile – spiega Rebecca Zini – basta pensare, banalmente, al discorso del bagno”.

Altro campo di ricerca è stato proprio quello della prostituzione omosessuale e transgender. Tra gli intervistati molti sono stranieri. “L’essere trans – spiega Rebecca Zini – insieme alla difficoltà di essere in regola con il permesso di soggiorno, può essere uno dei motivi per cui è difficile trovare lavoro e si è costretti a prostituirsi”.

In una classifica qualitativa tra le città prese in esame, Bologna sembra essere quella che riesce meglio a coordinare gli sforzi delle varie associazioni e dunque a dare più accoglienza: “Il discorso vale sia per le associazioni laiche che per quelle cattoliche – spiega l’antropologo Carlo Francesco Salmaso, che ha partecipato alla ricerca – l’aiuto materiale alle persone Lgbt non manca neppure nei centri gestiti dalla Chiesa”. Bologna inoltre – è emerso implicitamente dalle interviste – è sembrata anche essere considerata, da molti degli intervistati, la piazza migliore per chi si prostituisce.