In questi giorni ho seguito e studiato tutti gli annunci di fine lavoro e di inizio delle vacanze. Quasi tutti gli aggiornamenti sui social media raccontano due priorità degli italiani, o almeno del mio osservatorio socio-demografico:
a. spengo tutto, a partire dal cervello;
b. vado offline, mi stacco da strumenti collegati a Internet.

L’Italia, dunque, associa le ferie con il disimpegno. Fisiologico, dopo un anno di lavoro precario e sempre meno soddisfacente. Altrettanto naturale per chi il lavoro non ce l’ha e non ha alcuna intenzione di vivere il mese di agosto caricandosi ulteriori preoccupazioni sulle spalle.

Quello che mi sfugge, invece, è il motivo per cui le ferie degli italiani debbano essere, quasi obbligatoriamente, disconnesse. E del perché chi porta il computer in villeggiatura è ritenuto portatore di difficoltà di adattamento o, addirittura, non si sa divertire.
Probabilmente chi è online durante l’anno lo fa controvoglia, ma se così fosse non si spiegherebbe il motivo della enorme quantità di traffico prodotto dagli italiani sui social media, anche durante il weekend, anche durante gli orari di lavoro.

Sarò un italiano atipico, ma sono un po’ preoccupato per questa ricerca quasi spasmodica di fuga dalla realtà di tutti i giorni. E lo sono assai di più in questi giorni in cui gli Stati Uniti smettono di essere la prima potenza economica mondiale (almeno secondo le agenzie di rating), in cui l’Italia perde il 13% della capitalizzazione in Borsa in sole 5 sedute, in cui Berlusconi anticipa di un anno la manovra lacrime e sangue per il pareggio di bilancio (e Napolitano dice che non basta), in cui contiamo i morti quotidiani nel Mediterraneo, in cui il corno d’Africa rischia di morire di fame nel senso letterale del termine.
Aldous Huxley disse: i fatti non cessano di esistere soltanto perchè noi li ignoriamo. Come dargli torto?

Quando sollevo queste obiezioni ai teorici del ‘spengo tutto’, mi rispondono che tanto non saremo certo noi a poter evitare che ciò sta accadendo. Ritengo che questa osservazione sia scorretta per due ragioni:
a. ad agosto i mercati, i sistemi produttivi, i problemi, le reti sono attivi, vivi e decisivi esattamente come nel resto dell’anno. Ieri, venerdì 5 agosto, Berlusconi e Tremonti hanno convocato una conferenza stampa alle 19.30 per rimangiarsi tutto ciò che avevano detto negli ultimi 30 giorni, compreso il discorso alla Camere di mercoledì. Negli scorsi anni abbiamo scoperto, con mesi di ritardo e dunque senza possibilità di protestare, che le decisioni politiche più controverse erano assunte durante l’estate, a italiani distratti. Per questo è meglio che il cittadino, il cliente, l’utente, l’elettore sia ugualmente attento, assorto, pronto. Senza rinunciare al riposo, alla famiglia, ai suoi hobby, al suo divertimento.
b. se è vero che tutti sono in ferie, attori dei media compresi, è più facile entrare nelle maglie dell’informazione. Se qualcuno ha qualcosa da dire, è meglio che lo faccia adesso: forse dall’altra parte non avrà la platea al gran completo, ma ha più possibilità di attirare l’attenzione rispetto al risultato che otterrebbe nel rumore da overload informativo tipico dell’attività lavorativa classica. E avrà anche una soglia d’attenzione più alta da parte del ricevente, più disponibilità al dibattito e al confronto. I tempi rallentati (ma non fermi) dell’estate fanno bene anche alle idee.

Come ha scritto qualche giorno fa Simona Bonfante su Fb, smettere di lavorare, nell’era 2.0, è fisiologicamente (ma anche tecnologicamente, psicologicamente e politicamente) impossibile.
Per chi ha il cervello acceso, naturalmente.

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