Come in una mischia dove l’obiettivo è dimostrare chi ringhia più forte e l’unica regola è quella che non ci sono regole, il Popolo delle libertà perde l’ennesimo pezzo di casa Berlusconi, quello della Sardegna, ghiotta porzione elettorale che il premier, già dieci anni fa, aveva ribattezzato “il laboratorio del centrodestra” e che oggi amplifica quello che avviene in tutte le sedi con toni sussurrati e che si traduce col verbo ricollocarsi prima che frani la montagna.

I protagonisti della casa del ricollocamento si chiamano Beppe Pisanu e Ugo Cappellacci, governatore della Regione, prodotto cresciuto dal nulla nelle mani del premier, meritevole, soprattutto, di essere figlio di uno dei tanti commercialisti della galassia B., tanto da meritarsi la poltrona più importante della Sardegna. Due protagonisti e una guerriglia che si chiama Tirrenia, l’ultima compagnia di navigazione battente bandiera statale e privatizzata da Altero Matteoli che, escludendo dal tavolo proprio la Sardegna, ha provocato – e sapeva bene che sarebbe accaduto o comunque è difficile ipotizzare il contrario – un terremoto senza precedenti. Risultato finale è stato che Cappellacci, seguito da una ventina di consiglieri regionali, ha restituito ieri nelle mani di Angelino Alfano la tessera del Pdl (virtualmente, il partito di Berlusconi non ha mai stampato tessere) e cerca, assieme a Pisanu, di mettere in piedi qualcosa che dovrebbe portare il nome di partito dei sardi, o giù di lì, lasciando a piedi Berlusconi che della Sardegna aveva fatto la sede di un governo balneare.

Parola d’ordine: ricollocarsi. Non è un mistero che Matteoli, orgogliosamente ex missino, in questo governo ci stia stretto da un pezzo. Più di una volta, nei corridoi, ha sussurrato la necessità di ripartire senza più contare su Berlusconi e il berlusconismo. E il suo rinnovamento non passava, e non passa certo, per il partito in mano ad Angelino Alfano. Così, alla prima occasione, Matteoli ha fatto capire di che pasta è fatto. Pasta nera, come la polvere da sparo che ha sganciato su villa La Certosa. Un piano neppure troppo macchinoso: escludere, con un colpo di mano, la Regione Sardegna dalla cordata che si è impossessata della Tirrenia, e affidarla a un trio di armatori che si chiamano Gianluigi Aponte, Manuel Grimaldi e Vincenzo Onorato, che di sardo non hanno nulla se non già le navi che portano su e giù i turisti dall’isola. Lasciando spazi aperti a una battaglia, dal punto di vista legale, che si preannuncia infinita e rischia di mettere a rischio una delle ultime grandi privatizzazioni. La Sardegna, intesa come Regione, secondo l’interpretazione della flotta di avvocati già al lavoro, aveva pieno diritto di entrare nell’azionariato; secondo Matteoli, che a fare la guerra ha inviato l’amministratore straordinario della compagnia Giancarlo D’Andrea, assolutamente no. Se la vedranno in tribunale e all’Antitrust dell’Ue.

L’effetto Matteoli e le mire di Pisanu. Per ora la mossa ha avuto l’effetto di sgretolare il centrodestra nel laboratorio Sardegna. Cappellacci è riuscito a portare dalla sua parte un gruppo consistente di ex berlusconiani sardi, ma soprattutto si è coperto le spalle grazie a Pisanu, vecchio navigante democristiano che non ha bisogno di nessun bollettino meteorologico per capire da che parte soffierà il vento. “Non possiamo permettere che una parte del governo remi contro la Sardegna”, ha detto al termine di una lunga riunione col giovane Alfano il grande manovratore e alleato inaspettato di Cappellacci.

La partita Tirrenia e il tracollo del turismo sardo. Le trattative andavano avanti da mesi. E Cappellacci, il governatore sardo, a quel tavolo c’era stato sempre a pieno titolo, anche e soprattutto in virtù delle leggi che tutelano l’autonomia e lo statuto speciale della Sardegna. La Regione aveva tutti gli interessi per entrare nell’azionariato e far sentire il suo peso. Un’esigenza dovuta alla sopravvivenza: l’unica industria rimasta è quella del turismo e quest’anno, grazie agli aumenti dei signori Grimaldi e Onorato, giustificati, la stagione chiuderà con un meno 30 per cento.

L’obiettivo del governatore sardo. L’obiettivo di Cappellacci (già alle prese con l’azzeramento della giunta stabilito dal Tar per il mancato rispetto delle quote rosa) è rimanere dov’è, sulla poltrona di governatore e giocarsi la prossima partita elettorale. Matteoli, con la mossa Tirrenia (ma ci sono altre partite aperte in Sardegna come quella delle entrate e dei fondi per le grandi opere, come l’arteria Sassari-Olbia) lo ha messo con le spalle al muro e l’unica via d’uscita era quella di mettersi contro il governo. “Una scelta meditata e lucida”, ha detto Cappellacci nel riconsegnare (sempre virtualmente) la tessera del partito ad Alfano. “Abbiamo ricevuto rassicurazioni da lui e da Matteoli”, ha detto, ma è determinato a ottenere quello che chiede e dei tavoli, visto che la Tirrenia è ormai in mani private, se ne fa di poco. In un’intervista due giorni fa alla Nuova Sardegna se l’è presa anche col suo diretto superiore, Berlusconi: “Se è così legato alla Sardegna come dice è arrivato il momento di dimostrarlo coi fatti. A partire da una nuova convenzione con la Tirrenia”.

La posizione degli armatori. Vincenzo Onorato, presidente della Moby Lines, pezzo forte della cordata che ha rilevato Tirrenia e denominata Compagnia italiana di navigazione, non è tipo da preoccuparsi di fronte a scogli difficili: “Cappellacci ha sbagliato tutto”, dice, “ma soprattutto non ha capito una cosa e cioè che la convenzione tra Stato e Cin è blindatissima, soprattutto su tariffe, rotte e frequenze. L’acquirente non può toccare nulla. Per otto anni ci sono limiti che non devono preoccupare. Abbiamo contro tutti, emigrati, camionisti, industriali, amministratori e sindacati? E’ il frutto di una campagna demagogica. Se le tariffe dei traghetti sono aumentate è perché il prezzo dei carburanti è aumentato”.

Renato Soru: il grande assente è tornato a fare capolino. Il predecessore di Cappellacci, proprietario di Tiscali ed editore dell’Unità, l’uomo che dovrebbe essere sulla carta il principale oppositore del governo sardo, si è rivisto adesso. Giusto in questi giorni, perché nei mesi scorsi non ha fatto un’opposizione memorabile. La prima cosa che ha fatto in fretta e furia e in vista delle elezioni, è stata quella di mettere in piedi un altro quotidiano regionale (sfida difficile quella al duopolio Nuova Sardegna e Unione Sarda) e affidarlo nelle mani di un solido professionista come Giovanni Maria Bellu, ex condirettore dell’Unità firmata Concita De Gregorio. Una manovra, quella dell’apertura di Sardegna 24, che secondo i detrattori di uno degli uomini più ricchi dell’isola, avrebbe uno scopo elettorale. Ma soprattutto, dopo due anni di assenza, si è deciso a ristabilire buoni rapporti col Pd della Sardegna e aspettare le elezioni. Cappellacci, nel 2009, ha vinto perché Berlusconi gli ha tirato la volata. Oggi, col Pdl a pezzi e il suo leader sul viale del tramonto, ha capito che, se dovesse essere lui il candidato, forse può rimediare alla batosta presa due anni e mezzo fa.

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